LA BOHÈME

LA BOHÈME (La bohème) (US 1926)
Regia di King Vidor

Come avvenne per altri compositori, le opere liriche di Giacomo Puccini furono ben presto assunte a fonti di ispirazione filmica. Fu così anche per La Bohème a Hollywood, benché la sua esile trama fosse meno propizia all’adattamento cinematografico. L’opera non è infatti scandita in Atti, ma in Quadri. Quattro Quadri, con pochi snodi narrativi, tratti da Scènes de la vie de Bohème di Henri Murger, dedicati alla vita di poveri artisti nella Parigi del 1830 in cui spicca l’amore infelice di Mimì e Rodolfo. Affidandosi più alle atmosfere delle melodie musicali che alle svolte del racconto, Puccini compose un’opera profondamente innovativa della tradizione lirica italiana, nutrendola di suggestioni wagneriane. Desideroso che fosse completamente sua, corrispondente alla sua poetica, il compositore esercitò un’attenta supervisione intervenendo spesso nella travagliata stesura del libretto di Giacosa e Illica.
Artefice produttiva all’origine della Bohème di King Vidor fu Lillian Gish. Il contratto stipulato con M-G-M, dopo i due film di Henry King girati in Italia, le conferiva ampi margini decisionali, a cominciare dalla scelta del soggetto. Dovendo rinunciare ad altri progetti, scelse di interpretare la dolente Mimì di Puccini. Quando il direttore di produzione Irving Thalberg le fece vedere due rulli dell’inedito The Big Parade (1925), chiese che a dirigerla fosse King Vidor, il più prestigioso dello Studio, un regista incline al mélo, come dimostrano molti dei suoi film che egli cercava di associare a forme sinfoniche. Gish chiese anche di avere al suo fianco John Gilbert nei panni di Rodolfo, nonché altri interpreti di quel film che ebbe grande successo: Renée Adorée, Roy D’Arcy e Karl Dane. A quel punto, scrive Stuart Oderman, “King Vidor avrebbe diretto La Bohème, ma Lillian avrebbe avuto l’ultima parola”. Su tutto, per contratto.
Ricordando The Greatest Thing in Life (1918) di Griffith, l’attrice richiese e ottenne sia l’utilizzo dello stesso tipo di pellicola, sia il direttore aggiunto della fotografia di quel film, Hendrik Sartov che, grazie a un particolare sistema di lenti, avrebbe ricreato per lei gli stessi morbidi effetti visivi. Per la sua riluttanza a ogni contatto fisico ravvicinato, come se fosse ancora un’eroina di Griffith, il film venne girato senza quelle scene d’amore tanto attese soprattutto dal pubblico femminile, fan di John Gilbert. A riprese ultimate, però, Lillian Gish dovette cedere e tornare sul set per girarne qualcuna su richiesta personale del produttore Louis B. Mayer. Fu invece irremovibile sui costumi concepiti da Erté che lei ripudiò: aiutata dalla sarta, li creò lei stessa con vecchi scampoli di seta. Come Puccini, anche lei voleva fare la sua Bohème e il contratto, prevedendo la sua approvazione di ogni aspetto, glielo consentiva.
Accogliendo alcuni suggerimenti dell’attrice, la sceneggiatrice Fred de Gresac, da lei scelta, provvide a irrobustire l’intreccio pucciniano in cui è assente un forte conflitto tra personaggi. Manca infatti la figura dell’antagonista che contrasta il desiderio dei protagonisti. Nell’opera tale funzione è assolta dalla malattia che conduce Mimì alla morte e impedisce il compimento felice dell’amore. Con una più ampia articolazione del racconto, nel film la relazione amorosa viene ostacolata allorché Mimì si serve del visconte Paul, invaghito di lei, per aiutare l’amato a mettere in scena la pièce che lui sta scrivendo. Facendolo a sua insaputa, suscita la gelosia di Rodolfo che l’accusa di infedeltà. Mimì allora si allontana rendendosi irreperibile. Ma quando lui, diventato celebre, la invoca a distanza, lei, come ne avvertisse il richiamo, pur gravemente malata torna e muore tra le sue braccia. Amore suggellato nella morte, come avviene per la maggior parte delle eroine di Puccini. Chiedendo più tempo, la diva preparò con il consueto scrupolo la scena della morte, con letture specifiche e visite in ospedale ai malati di tisi terminali. Quando la recitò trattenendo il respiro, Vidor ebbe l’impressione che si fosse spenta davvero.
Oltre a questo finale che è l’apice del pathos, restano nella memoria anche due sequenze tra loro correlate. Dapprima un euforico Rodolfo espone a Mimì gli eventi della sua pièce mimando l’azione come potrebbe svolgersi sul palcoscenico; successivamente, una sublime e incantevole Mimì la ripete davanti al visconte Paul con grazia impareggiabile. Le due star, Gish e Gilbert, che a distanza gareggiano in bravura per rappresentare al meglio uno stesso contenuto, rendono un duplice omaggio all’arte della mimica quale essenza dell’attore nel cinema muto.

Luciano De Giusti

 

Ben Carré scenografo di La Bohème
La storia di Ben Carré quale scenografo della M-G-M è piuttosto complicata. Il capo scenografo della M-G-M, Cedric Gibbons, era un amico di Ben dai tempi di Fort Lee ed era anche apparso in Trilby (1915) nei panni di uno studente d’arte. Gibbons era un amministratore di prima qualità bravo a cogliere i talenti altrui, ma non era né un pittore né un artista. Il contratto che aveva stipulato con la M-G-M gli garantiva la prima posizione nei credits come scenografo in tutti i film dello studio. Quando si esaminano i credits adottati dallo studio per la scenografia, va ricordato che il primo nome è quello del supervisore del reparto, il secondo quello del principale scenografo del film. Cedric offrì a Ben un posto alla M-G-M come “Unit Art Director”, ma egli era riluttante ad accettare in quanto lo stipendio dello studio era inferiore alla cifra che guadagnava da freelance.

Poi venne il film M-G-M che Ben non poteva rifiutare, quale che fosse lo stipendio. Come scrisse egli stesso, “Gibbons mi chiamò nel suo ufficio e mi porse un soggetto. Era La Bohème. Non credevo ai miei occhi. Una produzione della M-G-M disponeva di mezzi tanto superiori, in termini di soldi e personale, che dimenticai lo stipendio più basso e mi misi subito al lavoro. Il mio recente viaggio a Parigi mi aveva riportato agli anni dell’adolescenza, al Quartiere Latino e a Montmartre e ai ricordi di quei vibranti luoghi parigini.”
Questa sarebbe stata la seconda volta che Ben si occupava delle scenografie della Bohème, dopo quelle del film di Albert Capellani interpretato da Alice Brady a Fort Lee nel 1916. Ben iniziò passando in rassegna i set all’aperto e i magazzini dello studio individuando strade, edifici e scene utili a raccontare la storia. Poi svolse ricerche, preparò disegni e stimò i costi delle scene principali. A quest’epoca Ben si era fatto un’esperienza curando gli ambienti di centinaia di film. Cosa ancor più importante, aveva la capacità intuitiva di creare efficaci composizioni per la macchina da presa. I set di Ben Carré erano personaggi e non semplici forme architettoniche, come risulta evidente da ogni fotogramma di La Bohème. Lungo tutto l’arco dei preparativi Ben si fece guidare dal suo personale rapporto con la vicenda. Egli era parigino e sua madre era un’appassionata di lirica per cui fin dalla prima infanzia si era trovato immerso nelle opere di Puccini e dei suoi contemporanei. La composizione cinematografica, i dettagli e il carattere che osserviamo nelle scenografie di La Bohème rappresentano Ben al suo meglio.
Durante la pre-produzione Ben fruì del valido aiuto di un giovane assistente e disegnatore di El Paso (Texas), di nome Arnold Gillespie. Formatosi alla Art Students League di New York, Gillespie, da poco ingaggiato dallo studio, aveva lavorato alle miniature per Ben-Hur. Come Ben rievocò in seguito, “Tutte le mie scenografie erano state approvate da Gibbons, quando ricevetti una telefonata dalla Warner Brothers. Andai nell’ufficio di Jack Warner. Mi venne detto che Ernst Lubitsch, che non conoscevo, aveva proposto di ingaggiarmi per il film dello studio con Barrymore, Don Juan”. Parlandone con Gibbons, Ben suggerì che il suo assistente, Arnold Gillespie, sarebbe stato in grado di subentrargli nel ruolo di scenografo, tanto più che Ben aveva fatto un esaustivo lavoro di preparazione ed era disponibile a consigliare e guidare Gillespie. Il film reca pertanto i nomi di Gibbons e Gillespie, ma in realtà fu Ben Carré a realizzare gran parte delle scenografie.

Thomas Walsh

LA BOHÈME (La bohème) (US 1926)
regia/dir: King Vidor.
scen: Fred [Frédérique] de Gresac, dal romanzo di/from the novel by Henri Murger, Scènes de la vie de Bohème (1847-1849).
cont: Harry Behn, Ray Doyle.
did/titles: Marian Ainslee, William Conselman, [Ruth Cummings].
photog: Hendrik Sartov.
mont/ed: Hugh Wynn.
scg/des: Cedric Gibbons, Arnold Gillespie, [Ben Carré].
cost: Erté [Romain de Tirtoff], Max Rée.
asst. dir: David Howard.
tech adv: Robert Florey.
stills: Milton Brown, Ruth Harriet Louise.
mus: William Axt [sincronizzata da/synchronized by David Mendoza].
cast: Lillian Gish (Mimi), John Gilbert (Rodolphe), Renée Adorée (Musette), Edward Everett Horton (Colline), Roy D’Arcy (Vicomte Paul), Gino Corrado (Marcel), George Hassell (Schaunard), David Mir (Alexis), Gene Pouyet (Bernard [padrone di casa/the landlord]), Karl Dane (Benoit [portinaio/janitor]), Matilde [Mathilde] Comont (Madame Benoit), Catherine Vidor (Louise), Valentina Zimina (Phémie), Frank Currier (impresario/theater manager), [Blanche Payson (caporeparto/factory supervisor), Loro Bara, Harry Crocker, Gloria Hellar, Mira Adorée (gitanti/picnic partygoers), André Cheron, Tony D’Algy, Leo White].
prod: Irving Thalberg, Metro-Goldwyn-Mayer Pictures.
riprese/filmed: 09-12.1925.
première: 24.02.1926 (Embassy Theatre, New York City).
copia/copy: (orig. l: 8781 ft.); did./titles: ENG.
fonte/source: UCLA Film & Television Archive, Los Angeles (Packard Humanities Institute Collection).

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