PRÄSTÄNKAN
[La vedova del pastore]
Carl Th. Dreyer (SE 1920)
Prästänkan è ambientato nella Norvegia del XVII secolo allora sotto il dominio della corona danese. L’università di Copenaghen controllava perciò i livelli alti dell’istruzione. In questo scenario, tre candidati di teologia sono in lizza per il ruolo di pastore in un grande villaggio. Söfren, il più dinamico dei tre, ha bisogno di ottenere l’incarico per riuscire a sposare la sua fidanzata, Mari. L’incarico gli viene dato, ma solo a condizione che sposi la vedova del suo predecessore, la severa Margarete, già sopravvissuta a tre mariti. Mari lo segue spacciandosi per sua sorella, ma Margarete frustra ogni tentativo dei due innamorati di restare da soli. Un giorno lui sposta una scala per tenere chiusa Margarete in soffitta, invece fa cadere Mari che si infortuna seriamente ed è costretta a letto. Durante la sua convalescenza, i tre approfondiscono la conoscenza reciproca, realizzando di aver tutti sofferto per quelle regole che costringono le persone al matrimonio come unico modo di costruirsi una vita, con il risultato che la felicità di alcuni dipende dalla morte di altri.
Nel corso della sua carriera, Dreyer ha sempre manifestato ammirazione per il cinema muto svedese, in particolare quello di Victor Sjöström, ma con questo film è lui stesso a dare un eccezionale contributo alla cinematografia svedese. Prästänkan segue il classico modello che prevede l’adattamento di una famosa opera letteraria, con una storia ambientata nel passato e un ampio uso dei magnifici paesaggi naturali scandinavi. I personaggi non si dividono in buoni e cattivi, ma sono spesso alle prese con dilemmi morali o psicologici. Il film di Sjöström del 1919 Ingmarssönern (I figli di Ingmar) 1919) era stato apprezzato per l’attenzione ai dettagli folkloristici; Dreyer esalta il realismo etnografico per tutto il film. Nonostante le difficoltà logistiche, sia le scene in esterni che quelle in interni furono girate in autentiche abitazioni seicentesche di Maihaugen, un museo all’aria aperta vicino a Lillehammer. Certi dettagli d’epoca sono bene in mostra, come nel caso dei cucchiai legati da una catena che lo sposo e la sposa utilizzano nel banchetto di nozze, ma il gusto di Dreyer per l’autenticità tocca ogni ambito della produzione. Le comparse, con le loro barbe imponenti, sono personalità locali reclutate grazie all’aiuto del poeta Olav Aukrust, esperto delle tradizioni e della lingua del posto (Aukrust appare nel film come uno dei concorrenti di Söfren).
Buona parte del film è giocato sul registro della commedia – il sermone di Aukrust è così noioso da far addormentare i fedeli e il sagrestano svegliarli con un bastone – ma Dreyer stacca spesso sul volto di Mari, la cui tacita sofferenza ci richiama alla crudeltà della situazione: le regole dell’ordine sociale soffocano il vero amore. Se Greta Almroth (già protagonista del Sjöström del 1917 di Tösen från Stormyrtorpet [La ragazza della torbiera]) ha un ruolo all’apparenza passivo, le sue reazioni sono fondamentali per il registro tonale del film. Il suo è un dolore non pienamente riconosciuto da Söfren, che come personaggio risulta essere piuttosto inaffidabile e narcisista. Lo interpreta l’attore norvegese Einar Rød (nei credits del film, Röd, secondo la grafia svedese), già visto nel ruolo del perfido, servile villain del film di John Brunius del 1919 Synnöve Solbakken (presentato alle Giornate 2017). La parte della severa e formidabile vedova è interpretata con grande intelligenza e convinzione da Hildur Carlberg, attrice svedese di 77 anni che era purtroppo malata e che morì subito dopo la fine delle riprese.
Il direttore della fotografia, a cui va il merito della meticolosa composizione, è il danese George Schnéevoigt, che in Norvegia avrebbe poi diretto Laila (1929; presentato alle Giornate 2008). Dreyer fa ogni sforzo per raccontare la storia attraverso le immagini, arrivando a usare uno split screen per rendere un suono. Girare all’interno di vere abitazioni rendeva più difficile la collocazione delle luci e della macchina da presa e quindi Dreyer non rispetta la continuità visiva. La scelta di girare da angoli diversi è probabilmente dovuta ai problemi di spazio, ma l’effetto finale non sembra dispiacere al regista. Il ridotto numero di personaggi aiuta a mantenere una certa coerenza spaziale tra un’inquadratura e l’altra e nei film successivi Dreyer cercò dove possibile di utilizzare set con quattro pareti, in modo da poter inquadrare gli attori da tutti i lati.
Il personaggio di Mari è chiamato “Kari” nel programma svedese e in quello danese, oltre che in diverse altre fonti; “Mari” è però la forma usata sia nel racconto di Janson che nella lista originale delle didascalie.
Il restauro Nel 2018 lo Svenska Filminstitutet ha effettuato la scansione di un duplicato negativo acetato ricavato da un master positivo (anch’esso in acetato) ricavato dal negativo originale, purtroppo perduto. Le didascalie sono state rifatte a partire da un elenco originale, con un design basato su alcune didascalie flash sopravvissute nel master positivo. Lo schema colore, con imbibizioni e viraggi, è stato ricreato grazie ad annotazioni presenti sul master stesso.
Magnus Rosborn & Casper Tybjerg
regia/dir: Carl Th. Dreyer.
scen: Carl Th. Dreyer; dal racconto di/based on the short story by by Kristofer Janson, “Prestekonen” (1901).
photog: George Schnéevoigt.
cast: Hildur Carlberg (Margarete Pedersdotter, la vedova del pastore/the parson’s widow), Einar Rød (Söfren, aspirante pastore/theology candidate), Greta Almroth (Mari, la fidanzata di Söfren/Söfren’s fiancée), Olav Aukrust (aspirante pastore magro/skinny theology candidate), Kurt Welin (aspirante pastore grasso/fat theology candidate), Mathilde Nielsen (Gunvor, la domestica/maid), Emil Helsengreen (Steinar, il domestico/groom).
prod: AB Svensk Filmindustri.
uscita/rel: 04.10.1920.
copia/copy: DCP, 94′ (da/from 35mm, 1907 m. [orig. 1935 m.), 18 fps), col. (imbibito e virato/tinted and toned); did./titles: SWE.
fonte/source: Svenska Filminstitutet, Stockholm.