NASTY WOMEN
L’espressione “Nasty Woman” è un grido di battaglia femminista dall’ottobre 2016, quando alla vigilia delle elezioni, durante il dibattito televisivo tra i candidati alla presidenza degli Stati Uniti, Donald Trump ha interrotto Hillary Clinton sibilando nel microfono “such a nasty woman” (“che donna odiosa”). Da quel momento “Nasty Woman” è immediatamente diventato un hashtag virale su Twitter (#IAmANastyWomanBecause…), un simbolo femminista utilizzabile per la raccolta di fondi (stampato su T-shirt, tazze e borse per la spesa), oltre che un’ispirazione per i memorabili “pussy hat”, i berretti rosa con le orecchie da gatto comparsi alla Marcia delle Donne di quest’anno. Essere una “Nasty Woman” significa rifiutare di farsi zittire e accettare invece l’eccesso di confusione inerente il genere e la differenza sessuale, impegnandosi attivamente in un nuovo movimento politico femminista.
Molto prima dei “pussy hat” e degli spettacoli televisivi di satira femminista mandati in onda in tarda serata, personaggi comici come Léontine, Rosalie, Cunégonde, Lea, Bridget e Tilly smascherarono il potere patriarcale, travolgendo con noncuranza totalmente distruttiva e allegra incoscienza le norme sociali dettate dal genere e il decoro fisico femminile. Questa rassegna sulle “Nasty Women” comprende quattro gruppi di cortometraggi – “Catastrofe in cucina”, “Léontine/Betty”, “Crisi d’identità” e “Catastrofe oltre la cucina” – e un lungometraggio, The Deadlier Sex, che narra la vicenda di una donna, magnate delle ferrovie, che rapisce un rivale maschio e lo abbandona in una zona selvaggia, lasciandogli solo il portafoglio. Le “nasty women” del nostro programma non sono semplici vamp fatali; piuttosto deformano e profanano le rigide norme di genere con tutti i mezzi possibili: fanno esplodere la cucina, sbriciolano le stoviglie, disarticolano le proprie membra per rivoluzionare i metodi di lavoro, perseguitano i datori di lavoro con scherzi sadici, infrangono giocose i tabù sessuali e razziali, cambiano di corpo e si trasformano in altre specie, e ostentano infine la propria fisicità con abbandono predatorio.
Il primo programma, “Catastrofe in cucina”, spazia da cortometraggi delle origini che trattano il tema dell’autocombustione femminile (The Finish of Bridget McKeen e How Bridget Made the Fire) a commedie a più rulli degli anni Dieci, dedicate ai rischi gastronomici delle storie d’amore (Are Waitresses Safe?). Questi film individuano nella cucina il luogo in cui i confini tra le sfere del pubblico e del privato, separate sulla base del genere, possono crollare, spesso tramite situazioni di estrema violenza comica e stupefacenti metamorfosi fisiche. Uscendo di casa ed entrando nella sfera della vita pubblica, “Catastrofe oltre la cucina” lascia la vita domestica nel caos e segue invece le “nasty women” per le strade e nella vita pubblica quotidiana. Dalle difficoltà della vita in ufficio dell’attrice e attivista italiana Lea Giunchi (Lea in ufficio), alle opportunità professionali che i travestimenti maschili offrono alle donne (She’s a Prince), questi film tematizzano le potenzialità che si spalancano allorché le donne riescono a evadere dalla sfera domestica.
“Crisi d’identità” ci porta su un terreno assai familiare nell’attuale epoca di inclusività femminista e social media virali. Ben prima dell’avvento di Twitter, tuttavia, le “nasty women” ricorrevano a un ampio ventaglio di stratagemmi cinematografici per mettere in risalto le complesse sfaccettature dell’identità e il mutare dei modi in cui essa viene interpretata e rappresentata: ne abbiamo esempi in film come The Taming of Jane, An Up-to-Date Squaw e The Night Rider. In molti di questi film troviamo specialiste della slapstick comedy che erano protagoniste di proprie serie comiche, come Sarah Duhamel (Rosalie/Jane e Pétronille), Lea Giunchi (Lea), Alma Taylor (Tilly the Tomboy) e varie altre artiste emblematiche ma non identificate (ossia nasty women in in senso lato), quali Cunégonde e Léontine/Betty. A quest’ultima dedichiamo un intero programma di film d’archivio raramente proiettati, che comprende Les Ficelles de Léontine, Le Bateau de Léontine e Léontine garde la maison. Léontine/Betty è una burlona anarchica, una catastrofica seminatrice di zizzania e una figura da slapstick dallo spirito gaiamente distruttivo, che si abbandona con intenso piacere alla demolizione di norme istituzionali stantie e a suscitare il furore di tutti coloro che, intorno a lei, si aggrappano a costumi culturali tradizionali. “Nasty woman” per eccellenza, Léontine/Betty è l’esatto contrario di una vamp: proprio la sua latenza sessuale da maschiaccio diviene lo strumento delle sue micidiali e rovinose attività.
Nei film selezionati – dai più vecchi di appena mezzo rullo dedicati alle gesta di cameriere esplosive a un lungometraggio del 1920 che presenta una storia d’amore dai risvolti sadici – le precise caratteristiche di una “nasty woman” non si profilano mai in maniera stabile e netta. Gli elementi che rendono una donna “nasty”, odiosa, variano dal gusto per gli scherzi maligni alla violenza anarchica, dalla fisicità giocosa alla sperimentazione sessuale. Il grido di battaglia “nasty women unitevi” condensa i vari modi in cui la società del 2017 si sente minacciata dal fatto che le donne acquisiscano potere, giungano al successo, dimostrino intelligenza e ambizione. In tale prospettiva, le nostre “nasty women” dell’epoca del muto rappresentano una scandalosa testimonianza risalente agli albori della storia del cinema nel XX secolo. Ne emerge soprattutto il potere del cinema di rendere visibili concetti trasformativi come femminilità e identità femminile, che sembrano sempre sul punto di prendere concretezza.
Maggie Hennefeld, Laura Horak
Program 1: CATASTROPHE IN THE KITCHEN
Dom/Sun 1 – 10:45 – Teatro Verdi
Program 2: LÉONTINE/BETTY & ROSALIE/JANE
Lun/Mon 2 – 9:00 – Teatro Verdi
Program 3: IDENTITY CRISIS
Gio/Thu 5 – 10:30 – Teatro Verdi
Program 4: CATASTROPHE BEYOND THE KITCHEN
Ven/Fri 6 – 12:30 – Teatro Verdi
Program 5: THE DEADLIER SEX
Sab/Sat 7 – 18:00 – Teatro Verdi
- 16 March 2017