ABERGLAUBE (DE 1919)
(Bijgeloof; Superstizione)
Georg Jacoby
Agli esordi della sua carriera cinematografica Ellen Richter impersonò spesso donne di origine straniera e talvolta non europea. Con i suoi capelli corvini, gli occhi scuri e la carnagione pure abbastanza scura, era per aspetto alquanto diversa da molte altre famose dive tedesche degli anni Dieci e inzio anni Venti, come Henny Porten, Ossi Oswalda, Mia May. L’attrice cui assomiglia di più è forse Pola Negri, che come lei raggiunse la fama verso la fine della prima guerra mondiale. Entrambe erano considerate “provocanti” e spesso destinate a incarnare tipi “esotici” (ossia “erotici”), come, nel caso la Richter, la figlia di un ciabattino arabo, la danzatrice in un tempio indiano o una geisha giapponese. Oggi questi film oggi in larga parte non esistono più o sono inaccessibili, ma è lecito presumere che essi abbondassero di stereotipi visivi e narrativi. Questo vale anche per i ruoli di genere, oltre che per la rappresentazione della “razza” e dell’ “alterità”. Come prima di lei aveva fatto Pola Negri in Carmen di Ernst Lubitsch (1918), e prima ancora Asta Nielsen, la Richter interpretò anche “zingare” (donne Sinti e Rom pesantemente stereotipate). Mentre Carmen indulgeva nell’immagine del potere sessuale, ribelle, inassimilabile e in ultima analisi distruttivo della “zingara”, Aberglaube punta chiaramente in una direzione diversa: concentrandosi sui pregiudizi contro la minoranza Sinti, delinea un quadro di odio e paura che sfocia direttamente nella persecuzione e nell’assassinio.
La vicenda inizia in un circo. Un visitatore, che si è invaghito della danzatrice “zingara” Militza, viene pugnalato da un clown geloso, Bajazzo (interpretato da Victor Janson, il “re delle ostriche” in Die Austernprinzessin di Lubitsch). Militza fugge in campagna, nel villaggio di Marienhagen, accolta in casa del sacerdote cattolico del luogo (a giudicare dal paesaggio e dall’architettura, il film sembra girato in qualche località della Germania settentrionale, che è in gran parte protestante). Anche il sacerdote si innamora di Militza, ma poco dopo muore, colpito da un fulmine mentre una sera celebra la messa. La madre di lui (Frida Richard, una presenza costante nelle parti di rincalzo dei film di Ellen Richter) ne dà la colpa a Militza e la fa cacciare dal villaggio. La fanciulla si incammina verso la città e strada facendo si unisce a una compagnia teatrale. Il capocomico, deluso dallo scarso talento artistico della sua troupe, implora Militza di partire con lui. Ella però rifiuta, avendo l’uomo una moglie e due figli piccoli che vivono in povertà, e fugge da sola. Si imbarca su una nave, dove con sua grande sorpresa incontra nuovamente il capocomico. La nave affonda, trascinando con sé negli abissi l’uomo che era rimasto stregato dalla “zingara”. Militza sopravvive al naufragio insieme a pochi altri ed è tratta in salvo da un nobiluomo che la porta con sé nella propria residenza di campagna. Qui ella può riprendersi da tanti traumatici eventi, ritrovando insieme al nobiluomo la pace e un amore sincero. La nuova casa di Militza si trova però assai vicina a Marienhagen. Quando la madre del sacerdote defunto apprende che la fanciulla vive ora nella tenuta, fomenta tra gli abitanti del villaggio paura, rabbia e superstizione, giungendo ad accusare Militza di essere una strega e una vampira da annientare ad ogni costo. Alla fine i contadini, aizzati, si trasformano in un’orda inferocita, scatenano una sommossa e Militza viene lapidata.
Benché dalla copia superstite manchi ben più di un terzo della lunghezza originaria, seguire la trama è abbastanza facile. L’elemento che rende Aberglaube così affascinante e coinvolgente nel contesto della filmografia richteriana è la sua dimensione sociale. Nel ruolo della “zingara”, la Richter è una donna marcata come “diversa” (soprattutto attraverso i grandi orecchini che indossa) e questo basta a far perdere la testa a tutti gli uomini che le stanno attorno. Senza alcuna colpa, Militza diventa il capro espiatorio di ogni problema e di ogni sventura.
Si possono tracciare paralleli tra l’odio, l’espulsione e il linciaggio della “zingara” descritti in questo film e l’enorme crescendo di aggressioni antisemitiche che, subito dopo la fine della prima guerra mondiale, si registrarono contro la comunità ebraica in Germania. La folla che invade rabbiosa la strada del villaggio, preparando la parossistica conclusione del film, sta in effetti inscenando un proprio pogrom, con conseguenze mortali. Forse, quindi, non è una coincidenza che nel periodo in cui fu realizzato Aberglaube, vari cineasti di origine ebraica – tra cui Ellen Richter e Willi Wolff, che collaborò alla sceneggiatura – abbiano utilizzato i film di finzione per sensibilizzare il pubblico sul dramma, storico e contemporaneo, delle persecuzioni e dei massacri perpetrati contro gli ebrei dell’Europa orientale. Aberglaube non raggiunge forse la raffinatezza artistica del Dreyer del 1922 Die Gezeichneten (Gli stigmatizzati), una storia d’amore che si dipana sullo sfondo dei pogrom della Russia zarista. Nondimeno, le somiglianze tra i due film sono straordinarie. – Philipp Stiasny
Preservazione Fino a poco tempo fa si riteneva che Aberglaube fosse uno dei tanti film perduti di Ellen Richter; poi nel gennaio 2020 una copia di circolazione olandese d’epoca, incompleta, è stata individuata nella collezione di nitrati dell’Eye Filmmuseum di Amsterdam. Successivamente un negativo di preservazione in bianco e nero e una copia in Desmetcolor sono stati prodotti tramite duplicazione fotochimica presso la Haghefilm Digitaal, con finanziamenti generosamente concessi dalla Sunrise Foundation for Education and the Arts. Inoltre il duplicato negativo è stato scansionato a cura dell’Eye Filmmuseum, in modo da ottenere una versione digitale ad alta risoluzione per agevolare la circolazione del film al di fuori delle sale in grado di proiettare copie a 35mm.
ABERGLAUBE (DE 1919)
(Bijgeloof; Superstizione) [Superstition]
regia/dir: Georg Jacoby.
scen: Georg Jacoby, Willi Wolff.
photog: Friedrich Weinmann.
cast: Ellen Richter (Militza [Melita], una zingara/a “gypsy”), Johannes Müller (un giovane sacerdote/a young priest), Frida Richard (la madre del sacerdote/the priest’s mother), Victor Janson (Bajazzo), Peggy Longard.
prod: Paul Davidson, Projektions-AG Union (PAGU), Berlin.
dist: Universum-Film AG (Ufa), Berlin.
v.c./censor date: 10.1919; 28.06.1920 (riesame/revision).
première: 10.10.1919, Berlin (U.T. Friedrichstrasse).
copia/copy: 35mm, incompl., 973 m. (orig. 1535 m. [28.06.1920: 1497 m.], 4 rl.), 50′ (17 fps), col. (imbibito/tinted); did./titles: NLD.
fonte/source: Eye Filmmuseum, Amsterdam.
Proiezione gentilmente autorizzata dalla/By permission of Friedrich-Wilhelm-Murnau-Stiftung, Wiesbaden.
Preservazione effettuata nel 2020 con il sostegno di/Preserved in 2020 with support from The Sunrise Foundation for Education and the Arts, La Jolla, California.