KENTUCKY PRIDE

KENTUCKY PRIDE (US 1925)
(Galoppo di gloria)
John Ford

Importante sceneggiatrice la cui carriera si è estesa lungo le epoche del muto e del sonoro, Dorothy Yost (1899‒1967) lavorò a più di 94 film. È nota soprattutto per le sue collaborazioni con il marito Dwight Cummings alla RKO: la commedia Alice Adams (1935) e i musical della coppia Astaire-Rogers The Gay Divorcee (1934), Roberta (1935) e Swing Time (1936). Rimane però ancora in gran parte sconosciuta la sua carriera nel periodo del muto, in cui ella esordì ancora adolescente.
Al pari di molte altre giovani pioniere, Yost lavorò in un primo tempo come segretaria e nel 1917 ottenne l’incarico di assistente del direttore delle sceneggiature alla Triangle Film Corporation. Ben presto passò a dirigere il reparto lettura, incaricato di rivedere e vivacizzare i copioni. Nata in una famiglia in cui la scrittura era praticata con successo – il padre era direttore di un quotidiano a Santa Barbara, mentre il fratello era un giornalista di Los Angeles che divenne direttore pubblicitario dei Fox West Coast Studios (1920) e successivamente sarebbe stato chiamato a dirigerne il reparto sceneggiature (1930) – Dorothy approfittò ben presto dei contatti di cui la sua famiglia disponeva nella West Coast.
Salì per la prima volta alla ribalta come autrice autonoma con Kentucky Pride della Fox (1925), un dramma di successo, ambientato nel mondo dell’ippica e diretto da John Ford, che si basava su un racconto originale della stessa Yost. Come nel romanzo Black Beauty di Anna Sewell (1877) la trama del film è narrata dal punto di vista di un cavallo. La protagonista equina, Virginia’s Future, racconta la storia (dipanando le didascalie di un monologo) agli altri cavalli e agli abitanti del Kentucky (esseri umani e cavalli), ma alla fine anche agli spettatori che assistono al film.
Fin dall’inizio Virginia’s Future ci avverte: “Per noi del Kentucky l’orgoglio della stirpe è tutto!” Questo messaggio di un “orgoglio” comune, che è patrimonio condiviso di umani e animali predomina lungo tutta la durata del film. La dignità, umana e animale, viene messa continuamente alla prova, e si esprime quasi esclusivamente nell’immagine della fisicità della puledra e attraverso il suo monologo di ricordi.
La trama ricostruisce il dramma di una puledra di un anno che non riesce a mantenere le promesse della sua lunga ascendenza di campioni. Alla prima corsa non è la favorita, ma rimonta il gruppo degli avversari e passa in testa; poi cade accidentalmente sulla linea del traguardo e si frattura una zampa. La sconfitta porta alla rovina il suo proprietario, Roger Beaumont, e potrebbe significare l’abbattimento della puledra. Beaumont, timidamente interpretato da Henry B. Walthall, perde ogni avere e abbandona la figlia Virginia, omonima dell’animale che avrebbe dovuto garantirne il futuro. La seconda moglie di Beaumont (Gertrude Astor) ottiene i terreni del marito e si affretta a condividerli con Greve Carter, suo vicino e amante. La tragedia e il peso della sconfitta, che gravano insieme su Virginia’s Future e su Beaumont, li uniscono e contemporaneamente li separano. Vediamo letteralmente quest’aspetto lungo tutto il film, nelle espressioni in primo piano del volto stupefatto di Walthall alternate ad analoghe inquadrature della cavalla che ricambia il suo sguardo: il nesso che la vicenda instaura tra esseri umani e animali diviene immediatamente evidente. La signora Beaumont ordina di “porre fine alle sofferenze” dell’animale, mentre il marito, travolto dalla sventura, scompare. Fortunatamente per Virginia’s Future, il suo allenatore irlandese Mike Donovan (J. Farrell MacDonald) disobbedisce, e quest’atto di resistenza alla fine salverà anche Beaumont.
Yost prediligeva i personaggi femminili che sacrificano le proprie aspirazioni personali e rimangono compagne o mogli fedeli di uomini egoisti: questo schema melodrammatico compare anche in Mother (1927) che Yost adattò per gli schermi dal romanzo di Kathleen Norris. Le tematiche di differenza e indifferenza tra le specie sviluppate in Kentucky Pride, e i suoi messaggi moraleggianti di amore, onore, dovere e sacrificio di sé sono simili a quelli proposti da Yost in Prodigal Lover, il romanzo che pubblicò nel 1937. A Dorothy si attribuisce la sceneggiatura di Kentucky Pride, ma le didascalie furono scritte da Elizabeth Pickett, regista e sceneggiatrice che curò anche il montaggio del film.
Intervistata l’anno successivo dal Los Angeles Times (24 ottobre 1926), Yost manifestò la propria preferenza per i soggetti originali rispetto agli adattamenti cinematografici, affermando che in futuro questa sarebbe stata la soluzione “più logica e, cosa importantissima, quella più redditizia” per i produttori. In un suo intervento sul film apparso nel maggio 2009 in una sezione speciale dedicata a John Ford della rivista online della FIPRESCI Undercurrent, lo studioso e critico giapponese Shigehiko Hasumi afferma che il copione fu deciso in anticipo dallo studio, e che la trama fu modellata dall’amore di Ford per i cavalli. Quale che sia il significato di quest’affetto del regista per gli equini (non lasciatevi sfuggire l’apparizione sullo schermo di un trio di celebri cavalli da corsa: il leggendario Man o’War, suo padre Fair Play e The Finn), o qualunque importanza si possa attribuire al successivo commento di Ford sulla mancanza di controllo creativo alla  Fox (negli anni Sessanta egli confidò a Peter Bogdanovich “Queste cose non le sceglievi, te le tiravano addosso e cercavi di fare il meglio che potevi”), il messaggio del film rimane problematico.
Agli occhi degli spettatori moderni quella che Jan Cronin definisce “ambivalenza fordiana” può apparire una vera e propria presa di posizione politica sull’umanità in generale, mentre l’insistenza sull’amore familiare può sembrare piuttosto un prodotto della penna di Yost. In un saggio non pubblicato risalente all’incirca al 1958 (“Contributions of the Yost Family to American Literature” [Contributi della famiglia Yost alla letteratura americana]) Sally Pritchard, la nipote di Dorothy, descriveva la zia come una persona che “aveva sempre considerato lo schermo un mezzo per esercitare un’influenza positiva sul pubblico.” Dietro ai contributi creativi di Yost e Ford stavano certamente “motivazioni ben precise”. In un articolo apparso nel dicembre 1926 sul Los Angeles Times (“Script Writer Holds Motive Success Basis” [Lo sceneggiatore getta le basi del successo della motivazione]), Yost affermò che senza di essa nessuna sceneggiatura poteva veramente aspirare al successo.
In qualche momento la visione di Kentucky Pride può destare imbarazzo. Per gli spettatori odierni gli onnipresenti riferimenti alla Confederazione e al retaggio della schiavitù (visibili soprattutto nelle scene in cui il cavallo trasporta pesanti carichi, mentre personaggi anonimi come domestici, rigattieri e stallieri sono interpretati da afroamericani o immigrati dall’Europa orientale) risultano sgradevoli. Questi richiami visivi, uniti alle didascalie che riprendono espressioni vernacolari e proclamano le virtù della famiglia, della stirpe e di un lignaggio superiore, ci ricordano in maniera plateale il controverso rapporto storico di Hollywood con la supremazia bianca. Kim Tomadjoglou

KENTUCKY PRIDE (US 1925)
(Galoppo di gloria)
 

regia/dir: John Ford.
sogg./story: Dorothy Yost.
did./titles, mont./supvr. ed: Elizabeth Pickett.
photog: George Schneiderman, Edmund Reek.
asst. dir: Edward O’Fearna.
cast: “Us Horses”: Virginia’s Future (Myself) [narrator], Negofol (My Father), Morvich (My Husband), Confederacy (My Daughter), Man O’War, Fair Play, The Finn (My Friends); “Those Creatures Called Humans”: Henry B. Walthall (Roger Beaumont), Gertrude Astor (His Wife), Peaches Jackson (His Daughter [Virginia]), J. Farrell MacDonald (Mike Donovan), Belle Stoddard (His Wife [Maggie]), Winston Miller (His Son [Mike, Jr.]), Malcolm Waite (Greve Carter), George [H.] Reed (Butler).
prod, dist: Fox Film Corp.
copyright 02.07.1925.
première: 06.08.1925 (Charleston, West Virginia).
copia/copy: DCP, 71′ (da/from 35mm nitr. pos., orig. l: 6597 ft., 22 fps, b&w e/and imbibito/tinted); did./titles: ENG.
fonte/source: The Museum of Modern Art, NY.

Restauro digitale/Digital restoration: Cineric; con fondi della/funded by Twentieth-Century Fox. Un speciale ringraziamento a/Special thanks to Dave Kehr, MoMA.

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