“BAD BUCK” OF SANTA YNEZ

“BAD BUCK” OF SANTA YNEZ

William S. Hart (US 1915)

“Bad Buck” of Santa Ynez è il decimo dramma in due bobine fra i diciassette diretti da Hart a Inceville. Fu girato nel febbraio 1915, poco dopo la produzione del lungometraggio The Darkening Trail. Hart è qui all’opera con lo sceneggiatore J.G. Hawks, da poco ingaggiato da Ince, per una vigorosa fiaba di cowboys stracolma di baldanza, sentimento, rudi cavalcate e teneri gesti. È la terza volta che Hart “muore” sullo schermo durante la sua carriera alla NYMPC (dopo His Hour of Manhood e The Taking of Luke McVane), e Hawks è bravo ad ammantare la più grande stella degli studi Ince con un degno motivo per un finale tragico: salvare la vita di una bimba.
A dispetto del titolo vagamente scherzoso (Inceville si trovava ad est del Santa Ynez Canyon) e di una certa levità di tono in alcune didascalie, Hart affronta il tema in modo diretto e sincero. Dopo un breve sguardo sulla dura vita di una famiglia di pionieri nella loro carovana coperta, entra in scena “Bad Buck” Peters: con il suo caracollante ingresso nel villaggio, ai margini del marciapiede di legno, Hart si impone sullo schermo con la sua camicia a quadri e il suo vivace cavallo pezzato, proprio come in un dipinto del suo grande amico Charlie Russell.
All’interno del Red Dog Saloon, il suo duello in stile macho a colpi di bicchieri di whisky è coreografato come un rigoroso pas de deux impeccabilmente interpretato da Robert Korman, uno degli aiuto registi. Buck vince la sfida, ma si è creato così un nemico mortale. Dal suo comportamento, è chiaro che fare scherzi è un suo vecchio vizio, non certo un delitto capitale, ma il risultato è questa volta assai problematico: lo sceriffo non è un tipo che sa perdere. Con la sua precipitosa fuga dal villaggio in un panorama cupo e fangoso, il “terrore di Santa Ynez” riesce a malapena a sfuggire a una masnada di uomini determinati a linciarlo.
Le immagini della famiglia di pionieri in difficoltà sono alternate a quelle della tenzone al saloon, stabilendo così le premesse di una storia che contrappone gli sventurati immigranti dall’Est al selvaggio West. Madre e figlia pregano per papà, morto di malattia, e implorano il cavaliere in fuga di aiutarli a scavare una tomba. Il celebre “conflitto interiore” di Hart si esprime qui nella messa in scena più che nelle espressioni del viso; la trama è basata su una convenzione culturale del diciannovesimo secolo secondo la quale un bimbo innocente, messaggero della grazia divina, può sciogliere anche un cuore di pietra. È esattamente ciò che accade qui.  
La piccola Honey è interpretata da Thelma Salter, di soli otto anni ma attiva nel cinema già dal 1913. La si era vista l’anno prima come una “Keystone Kid” in una decina di comiche di Sennett a una bobina; lavorava spesso ad Inceville per altri registi, e comparve pure nel secondo film di Hart, Jim Cameron’s Wife. Hart la avrebbe ingaggiata in seguito anche per The Disciple e per Selfish Yates.
Colpito dalla situazione che ha di fronte, Buck offre la propria capanna a madre e figlia. Honey, obbediente e premurosa, sta raccogliendo fiori mentre sta procurando dell’acqua quando è morsa da un serpente a sonagli. L’incidente, descritto senza mostrare il dettaglio del serpente all’attacco (forse per via dei censori?) è qui costruito attraverso il montaggio. Il grosso rettile è inquadrato in primo piano, in alternanza con altre immagini che lo mostrano all’agguato sotto il cespuglio di fiori. Più che altro Salter può soltanto mimare l’effetto del morso, poiché i movimenti dell’animale sono visti a una certa distanza. Un dettaglio della ferita sulla gamba della bambina, e la confusione che segue all’uccisione della bestia da parte di Buck, che la scaraventa qua e là a colpi di pistola, ottiene l’effetto desiderato.
Le scene a cavallo di “Bad Buck” of Santa Ynez sono magnifiche. Una folta pattuglia di inseguitori attraversa lo schermo con un energico movimento in diagonale. Buck, al ritorno nel villaggio, è visto in una nitida silhouette che si staglia sullo scabro orizzonte. Questa icona visiva del western è qui utilizzata con prodigalità, non come riempitivo, bensì a scopo drammaturgico. Buck segue i movimenti dei suoi inseguitori sul sentiero sottostante a un’alta formazione montagnosa mentre è intento a confezionare una bambola di legno per Honey. Più tardi, la sua corsa a cavallo (vista di nuovo in silhouette) verso il villaggio alla ricerca di un dottore è a un certo punto scoperta dallo sceriffo, che organizza un’imboscata.
Il potere di redenzione di un innocente rifulge nella scena conclusiva in cui Buck, mortalmente ferito, manda il dottore a salvare Honey, poi – allo stremo delle forze – si trascina verso il letto della bambina per un’estrema affermazione della propria bontà d’animo: un espediente teatrale di puro stampo vittoriano, ma anche parte integrante del modo di raccontare di Hart. La mamma ferma l’irruzione dei vigilantes sulla soglia della capanna con un sobrio gesto da matrona mentre la macchina da presa si sposta su Buck, che trova una morte serena al fianco della sua bambina. “Bad Buck” of Santa Ynez ribadisce con forza la formula di Ince per il cinema di Hart: pericolo e pathos, espressi in un’atmosfera squisitamente western.

Diane Koszarski

regia/dir: William S. Hart.
sogg/story, scen: J. G. Hawks, Thomas H. Ince.
cast: William S. Hart (“Bad Buck” Peters), Fanny Midgley (Mary Gail), Thelma Salter (Little Honey Gail), [Robert Kortman (Sheriff)].
prod: New York Motion Picture Co., supv: Thomas H. Ince.
dist: Mutual/Kay-Bee.
uscita/rel: 21.05.1915.
copia/copy: DCP; 23’27”; did./titles: ENG.
fonte/source: Library of Congress Packard Center for Audio-Visual Conservation, Culpeper, VA.

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