FILMS ON FILMS PROG. 1

Film sul cinema – Prog. 1
Evoluzione dei tour degli studi hollywoodiani

[A TOUR OF THE THOMAS H. INCE (EX TRIANGLE) STUDIO] (US 1920)
(riedizione dei primi anni Settanta, con introduzione)
regia/dir: Hunt Stromberg. photog: Henry Sharp. prod: Thomas H. Ince. dist: Triangle Film Corporation. uscita/rel: 09.1920. copia/copy: DCP, 24′; did./titles: ENG. fonte/source: Lobster Films, Paris.
Come ha dimostrato Brian Taves, storico e biografo di Thomas Ince, questi può essere considerato il creatore del sistema delle unità di produzione, oltre alle altre pionieristiche innovazioni da lui introdotte nello studio di Inceville tra le montagne di Santa Monica e Malibu – la prima struttura completa di questo genere nella California meridionale. Con quasi 500 film al suo attivo come produttore e regista, Ince fu una delle forze creative più influenti nel periodo precedente all’avvento dello studio system. Nel 1915, ormai pronto ad ampliare le proprie attività, concluse un accordo con il magnate delle proprietà immobiliari Harry Culver per spostare i propri stabilimenti nell’appena costruita “Culver City”, dove in società con D.W. Griffith e Mack Sennett formò la Triangle Motion Picture Company (l’edificio in stile coloniale, costruito nel 1918 per gli uffici amministrativi, divenne successivamente la sede della Selznick International Pictures). Nei rimanenti nove anni della sua vita – fino alla prematura scomparsa nel 1924 – Ince si spinse più in là di qualsiasi altro cineasta nel creare la figura di legittimo artista-imprenditore profondamente coinvolto in ogni singola fase delle proprie produzioni (aspetto chiaramente rispecchiato in questo Tour). Come sostiene Anthony Slide nel suo libro Films on Film History, Ince usò questo cortometraggio “non solo per promuovere i suoi attori e le sue produzioni [come molti altri studio avevano già fatto con “tour” analoghi], ma anche per ingraziarsi i media giornalistici”. I quotidiani locali delle città dove il film veniva proiettato erano indicati come “distributori” e il direttore del reparto pubblicità di Ince, Hunt Stromberg (che diresse il film) era lui stesso un ex giornalista. Questa pellicola, composta originariamente da tre rulli, compilata con riprese girate alla fine degli anni Dieci, è seconda solo al tour dello studio M-G-M girato nel 1925 per quanto riguarda il numero di copie sopravvissute negli archivi di tutto il mondo: ciò testimonia della popolarità planetaria di Ince (e della Triangle), nonché della loro reputazione per i “film di qualità” nell’era dei primi lungometraggi a soggetto.
Il film inizia con una ripresa panoramica delle strutture dello studio su Washington Boulevard a Culver City, e si sofferma poi su vari aspetti della sua attività. Vediamo gli interni di un palcoscenico di vetro, il reparto guardaroba, la realizzazione di forme in gesso e quella delle riprese in esterni (con il generatore elettrico portatile che le rende possibili), la squadra di vigili del fuoco operante all’interno dello studio (in una sequenza che chiaramente riecheggia i primi film sull’arrivodei pompieri in caso di incendio), una serie di set e la falegnameria addetta al loro allestimento (insieme a progetti e modelli), la sala per lo sviluppo dei negativi, i reparti del montaggio di continuità e della realizzazione delle didascalie e persino la piscina dello studio. Ammiriamo varie star intente alla routine quotidiana (in scenette preparate appositamente per la macchina da presa): Harold Lloyd, Hobart Bosworth (che vediamo all’opera mentre dipinge), Mabel Normand, Earl Hughes, Enid Bennett, Louise Glaum, Douglas MacLean, House Peters e Margaret Livingston, oltre al dirigente dello studio J. Parker Read Jr. Il resto del film è dedicato in gran parte a Ince in persona, ripreso mentre svolge i compiti consueti, dalla revisione delle scenografie alla proiezione delle riprese giornaliere. L’edificio nel complesso dei bungalow, da cui lo vediamo uscire, è lo stesso in cui la sera del 1° febbraio 1922 fu assassinato il regista William Desmond Taylor. Il film documenta un altro avvenimento storico, di carattere ben diverso: la visita agli studio del re Alberto I e della regina Elisabetta del Belgio, che ebbe luogo il 17 ottobre 1919.

Dimitrios Latsis

[THE FIRST NATIONAL FAMILY OF STARS] (US 1926)
regia/dir: ?. prod: First National Pictures. dist: First National Pictures. uscita/rel: c.1926. copia/copy: 35mm, 1000 ft., 8′ (24 fps); did./titles: ENG. fonte/source: UCLA Film & Television Archive, Los Angeles, CA.
Nel 1926, quando questo cortometraggio promozionale di novità cinematografiche fu distribuito agli esercenti, la First National era al terzo posto tra le grandi case di Hollywood (superata solo da M-G-M e Paramount) e si accingeva a festeggiare il decimo compleanno. Certo, aveva perso Chaplin e aveva respinto vari tentativi di acquisizione da parte delle rivali (andò poi a buon fine quello operato nel 1928 dalla Warner Bros), ma si era appena trasferita in uno studio nuovissimo, esteso su un’area di 62 acri a Burbank, e disponeva di una scuderia di divi ancora validissima, comprendente tra gli altri “la dolce, sfavillante, affascinante Colleen Moore, … Milton Sills, il grande ‘vero uomo’ dello schermo”, Norma e Constance Talmadge, Richard Barthelmess e Harry Langdon. Gli spezzoni dei film recenti o di prossima uscita qui presentati – Sally, We Moderns, The Unguarded Hour, Men of Steel, The Beautiful City, Clothes Make the Pirate, Lunatic at Large, Kiki, e Just Suppose (di tutti questi ci sono pervenuti solo gli ultimi due) – offrono una buona combinazione di commedia e melodramma, ossia dei due generi che, negli ultimi anni del muto costituivano la produzione di base dello studio.

Dimitrios Latsis

CINEMA STARS, No. 16 (US 1925)
regia/dir: R. [Ralph] B. Staub. mont/ed: R.B. Staub. did/titles: Pinto Colvig. cast: Irene Rich, John Harron, James Flood, Frank Lloyd, Roy Stewart, Neely Edwards, Thelma Hill. prod: R.B. Staub, Progress Pictures, Inc. dist: Davis Distributing Division, Inc. uscita/rel: 09.1925. copia/copy: 35mm, 1000 ft., 8′ (24 fps), imbibito/tinted; did./titles: ENG. fonte/source: UCLA Film & Television Archive, Los Angeles (Stanford Theatre Foundation Collection). Preservazione a partire da una copia nitrato 35mm./Preserved from a 35mm nitrate print.
Cinema Stars era uno dei tanti cinegiornali realizzati a imitazione di Screen Snapshots di Harry Cohn, avviato nel 1919 con l’intento di offrire uno sguardo “dietro le quinte” sulla produzione cinematografica e la “vita privata” delle star. Nel corso degli anni Venti, questo modello fu seguito da una multiforme quantità di cortometraggi da un rullo destinati alla distribuzione commerciale o di altro tipo (talvolta realizzati singolarmente, talvolta articolati in serie), che servivano a integrare i programmi e contemporaneamente a formare una base di appassionati per i divi sotto contratto con lo studio. Gli scopi promozionali, il carattere chiaramente artificiale delle scenette e la ripetitività degli schemi narrativi (le star “colte di sorpresa” dall’operatore del cinegiornale) suggeriscono una certa cautela, ma l’intrinseco modernismo di questi film consiste nella loro natura autoriflessiva: la struttura comica si fonda sullo stesso medium cinematografico e sull’attento equilibrio mantenuto tra il dissolversi dell’illusoria magia dello schermo e la necessità di mantenere vivo l’interesse degli spettatori offrendo loro un accesso privilegiato al funzionamento del mondo del cinema.

Nel 1925 la Davis Distributing Division di J. Charles Davis – produttore della fascia più modesta del settore, che aveva trovato una nicchia di mercato nei film comici, melodrammatici e western a basso costo – stipulò un contratto con la Progress Pictures di Baltimora, guidata da Arthur C. Bromberg, per produrre una serie di questi cortometraggi destinata al mercato degli States’ Rights (che consentiva di acquistare i diritti di un film per uno Stato o un territorio limitato). Il regista Ralph B. Staub, veterano degli Screen Snapshots della Columbia, e più in generale del mercato dei filmati di curiosità varie da un rullo, aveva sfornato nel corso degli anni Venti oltre 300 cortometraggi di questo tipo. Con Cinema Stars cercò di riproporre la medesima formula – passione per le star del cinema, ritmo deciso e spigliato – in una confezione più economica. “Se i nomi significano dollari, qui c’è una fortuna”, proclamava una pubblicità della serie su Motion Picture News, ma come si può constatare dall’episodio n. 16, “star” era un termine relativo: qui Irene Rich e John Harron recitano sotto la direzione di James Flood in The Wife Who Wasn’t Wanted della Warner Bros (1925; ritenuto perduto), mentre Frank Lloyd e Roy Stewart iniziano la loro partita di golf in una bella giornata di sole. Neely Edwards e Thelma Hill riproducono una scena di Within the Law (di cui lo stesso Lloyd aveva curato l’adattamento cinematografico per la First National due anni prima). A quanto sembra, l’ordine iniziale di questa serie di 52 filmati da un rullo non fu rinnovato, ma la combinazione fra “vaudeville in scatola” e scene di lungometraggi oggi perduti trasforma queste curiosità in preziosissime testimonianze della storia dell’intrattenimento.

Dimitrios Latsis

THE HOLLYWOOD DREAM FACTORY AND HOW IT GREW (US 1927?)
prod, dist: Blackhawk Films. copia/copy: DCP, 10’23”; did./titles: ENG. fonte/source: Academy Film Archive, Los Angeles (Film Preservation Associates Collection).
La Blackhawk Films, la fondamentale casa di distribuzione del mercato amatoriale a 16mm, produsse la compilazione oggi nota con il titolo The Hollywood Dream Factory and How it Grew, che è datata 1927 dai due principali archivi che ne conservano copie (UCLA e Academy). È l’anno in cui la società da cui poi nacque la Blackhawk, la Eastin Pictures, venne fondata a Galesburg (nell’Illinois), prima di spostarsi a Davenport (nell’Iowa) nel 1932, dopo l’avvento del cinema sonoro a 16mm. Molto probabilmente, il film fu montato in un momento successivo, ma i materiali di lavorazione che vi sono inserite dimostrano chiaramente che fu girato nel 1927. Benché le riprese scelte per questo film da un rullo non siano di contenuto molto diverso da qualsiasi altro consueto tour dietro le quinte di Hollywood, la loro organizzazione, le didascalie e la concezione generale del film rivelano i lineamenti di quella riflessione sull’evoluzione di Hollywood – intesa sia come luogo fisico, sia come industria – che si andava radicando nella seconda metà degli anni Venti. La crescita di Hollywood è illustrata cronologicamente, ma la mappa ne è tracciata simultaneamente sulla mutevole geografia dell’area di Los Angeles nel primo quarto del ventesimo secolo. The Hollywood Dream Factory anticipa quindi i numerosissimi documentari successivi, seguendo la trasformazione di Hollywood dal “piccolo sobborgo sonnolento” che assistette all’arrivo delle prime case cinematografiche nel 1907 alla Mecca del cinema di fine anni Venti; narrazione ripresa pure nella serie “Life in Hollywood” uscita anch’essa nel 1927. Gli eventi citati saranno familiari a ogni studente di storia del cinema: il boom delle proprietà immobiliari, la precoce ostilità degli abitanti del luogo per la “gente del cinema”, l’Edison Patent Trust come causa della migrazione a ovest, la prima guerra mondiale come momento in cui una massa critica di studio si spostò da Fort Lee a Los Angeles, l’espansione degli studi verso i sobborghi (Burbank, Pasadena, Glendale, Santa Monica e Culver City) negli anni Venti, e così via. Tutto questo è illustrato da riprese in esterni dei luoghi citati, dimostrazioni di effetti speciali (le immagini del ciclorama di Mack Sennett contenute in questo film furono successivamente riciclate in innumerevoli documentari), e vedute aeree degli spettacolari set di massa di film come The Hunchback of Notre Dame (1923).
L’intuizione più originale di The Hollywood Dream Factory riguarda la successione delle sequenze che illustrano la rapida crescita dell’industria cinematografica, divenuta una forza irresistibile, capace di plasmare l’aspetto stesso del territorio: dalla costruzione di set all’aperto nei primi tempi, alla nascita di intere “città nella città” (immagini degli studi Paramount e M-G-M), all’utilizzo degli spazi all’aperto dei set come surrogati di qualsiasi luogo del mondo. Tanto entusiasmo è tipico del periodo, ma l’affermazione più sorprendente formulata qui è quella per cui il cinema sarebbe non solo il settore economico più redditizio, ma addirittura il singolo fattore che più potentemente aveva operato per trasformare fisicamente il territorio della California meridionale.

Dimitrios Latsis

SPROCKETS AND SPLICES. A LITTLE JOURNEY TO THE SOURCE OF FILM DAMAGE AND POOR PRESENTATION (US 1923)
regia/dir: Earl J. Denison. photog: Donald B. Keyes. asst. dir: Vernon Keyes. prod: Earl J. Denison, Famous Players-Lasky. dist: Paramount-Famous Players-Lasky. uscita/rel: 10.1923. copia/copy: DCP, 24’53”, col. (da/from 35mm [orig. 1836 ft.], imbibito/tinted); did./titles: ENG. fonte/source: George Eastman Museum, Rochester, NY.
“Una catena è forte quanto il suo anello più debole. Una pellicola lo è al pari della sua più debole giuntura.”

I proiezionisti sono giustamente considerati i più misconosciuti eroi e artisti nella storia del cinema muto (e di quello successivo), e c’erano film in cui si dimostrava l’importanza del loro lavoro. Alla pari di altri cortometraggi di questo programma dedicati ad esercenti, distributori o al pubblico in generale, questi film gettano uno sguardo sul complesso balletto di persone, pellicole e apparecchiature necessarie al corretto svolgimento dello spettacolo, troppo spesso date per scontate. Gli studios non si preoccuparono troppo di promuovere un corretto trattamento delle copie; il manuale illustrato Proper Inspection, Splicing, and Care of Films, pubblicato dalla Paramount nel 1922, è un’eccezione a questa regola. Il suo autore, Earl J. Denison, impiegato al dipartimento distribuzione presso la Paramount, intraprese una vera e propria crociata in materia, con tanto di conferenze alla Society of Motion Picture Engineers, più un articolo intitolato “Sprockets and Splices”, apparso sia su American Cinematographer che sul Moving Picture World, e questo film in due bobine dallo stesso titolo, a uso e consumo dei proiezionisti incaricati di mostrare film della Paramount.
Denison spiega i rischi derivanti da un’imperfetta riparazione delle pellicole utilizzando copie di recenti produzioni Paramount, due delle quali possono essere identificate: The Cheat (diretto da George Fitzmaurice) e The Marriage Maker (di William C. de Mille), entrambi usciti nel 1923 e per ora considerati perduti. Denison approfitta altresì dell’occasione per presentare la nuova incollatrice automatica della Famous Players-Lasky, nonché l’inceratrice della Eastman Kodak, quali fossero virtuali panacee per le giunture mal fatte. Grazie all’uso del rallentatore e di immagini fisse, il film segue la traiettoria delle giunture difettose in diversi tipi di proiettori, con le conseguenze che ne derivano. Non importa se voi abbiate o meno assistito al lavoro che si svolge in una cabina di proiezione o a un tavolo di montaggio in una cineteca: vedere il modo in cui il flessibile supporto in cellulosa è sottoposto a ogni sorta di maltrattamenti e di rischi fra i meccanismi del proiettore può essere doloroso a vedersi, tenuto conto che il film che state guardando in questo momento potrebbe essere vittima di identiche traversìe. Ci si rende anche conto della qualità dei proiettori, progettati allo scopo di funzionare anche con le pellicole più maltrattate. Dal punto di vista estetico, i dettagli del proiettore in azione possono essere paragonati alla coreografia di Ballet mécanique (1923), uscito pochi mesi dopo Sprockets and Splices.
È forse il caso di riflettere sul destino del film su pellicola, e di unirsi al proiezionista che così recitava nella celebre “Film Prayer” (A. P. Hollis, ca. 1920), contribuendo così alla nobile causa di Denison per una migliore proiezione cinematografica: “Sono fatta di celluloide, non di acciaio; oh, Dio delle macchine, abbi pietà di me…”

Dimitrios Latsis

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