FILMS ON FILMS PROG. 2

Film sul cinema – Prog. 2
Histoire(s) du Cinéma

L’HISTOIRE DU CINÉMA PAR LE CINÉMA (Le ciné par le ciné) (FR 1927)
regia/dir: Raoul Grimoin-Sanson, collab. Louis Forest. scen: Raoul Grimoin-Sanson, Louis Forest. did/titles: Louis Forest. consul: André Debrie, Ernest C. Schmitz. prod: CNAM (Conservatoire national des arts et métiers). tech. asst: Bernard Natan, Rapid-film. uscita/rel: 11.03.1927. copia/copy: 35mm, 968 m., 52′ (16 fps); did./titles: FRA. fonte/source: CNC – Centre national du cinéma et de l’image animée, Bois d’Arcy.
L’11 marzo 1927 il presidente della Repubblica francese, Gaston Doumergue, inaugurò la prima mostra permanente al mondo sulla storia del cinema, ospitata in un museo statale: la “section cinéma” del Conservatoire National des Arts et Métiers. La collezione era composta in parte da manufatti raccolti nel corso degli anni dalla Société française de photographie. Per accompagnare l’esposizione degli oggetti del pre-cinema e dai primi anni del medium, presenti in questo precursore del museo della Cinémathèque française, venne prodotto un film che si proponeva di narrare la storia del cinema per mezzo del cinema stesso. Il principale promotore della mostra e del film fu Raoul Grimoin-Sanson (1860-1941), una di quelle affascinanti figure dell’epoca pre-Langlois nei cui confronti la causa della preservazione ha un forte debito. Figlio di un industriale e bricoleur per eccellenza, Grimoin-Sanson fu l’inventore del fototachigrafo e dello sfortunato ma rivoluzionario Cinéorama, che esordì all’Exposition Universelle di Parigi nel 1900 e fu la prima tecnologia cinematografica immersiva della storia.
Come ha dimostrato Christophe Gauthier nel suo libro La Passion du cinéma. Cinéphiles, ciné-clubs et salles spécialisées à Paris de 1920 à 1929, questo film fu pensato anche per controbilanciare la tendenza della storiografia allora emergente, che propendeva decisamente a identificare nei Lumière gli “inventori del cinema”. Grimoin-Sanson, in qualità di presidente della commissione per il centenario della nascita di Étienne-Jules Marey, sostenne che la priorità andava assegnata agli esperimenti cronofotografici di quest’ultimo, che avevano sostanzialmente avviato la tecnologia di base del cinema: il confine tra lumièristes e anti-lumièristes era stato tracciato.
Il film fu proiettato a lungo, anche negli anni Trenta, per pubblici di specialisti e di spettatori comuni in Francia e all’estero, come conférence filmée, spesso accompagnata da un oratore presente in sala: tra gli altri, un giovane Jean Mitry e Charles Richet, il collega di Marey al Collège de France.
L’Histoire du cinéma par le cinéma dedica a quella che oggi chiameremmo “archeologia del cinema” uno spazio maggiore di quanto facciano La Machine à refaire la vie di Julien Duvivier o qualsiasi altro analogo film dell’epoca. Le due parti dell’opera – Il passato: cronofotografia, origini, sviluppo, prime invenzioni; e Il presente: tecniche moderne e loro applicazioni nella scienza e nello spettacolo – guida gli spettatori attraverso le varie fasi dello sviluppo delle immagini in movimento così com’erano intese all’epoca: dalla scoperta della persistenza della visione alla lanterna magica, ai vari -scopi, -tropi e -orami del diciannovesimo secolo, fino alla cronofotografia di Marey e Demenÿ e agli altri “padri”: Edison, i Lumière, Gaumont e lo stesso Grimoin-Sanson.
Roland Cosandey ha giustamente osservato che, come nel caso di Francis Jenkins negli Stati uniti, anche il film di Grimoin-Sanson faceva parte di una campagna di autopromozione, in un periodo in cui la nozione di storia del cinema come insieme di manufatti e storie si stava definendo. In realtà L’Histoire du cinéma par le cinéma è, in senso stretto, un adattamento delle memorie di Grimoin-Sanson, Le Film de ma vie (1926). Come Terry Ramsaye, che in quegli stessi anni funse da consulente e collaborò alla realizzazione di Thirty Years of Motion Pictures negli Stati Uniti, anche Grimoin-Sanson adottò lo schema “libro più film”, una strategia multimediale mutuata dal circuito delle conferenze didattiche, che costituì un importante modello per i primi storici del cinema i quali cercavano di divulgare e commercializzare il proprio lavoro.
Il film e il libro accesero una polemica in seno alla Chambre Syndicale de la Cinématographie, oltre che sulle pagine della stampa specializzata; fu istituita una commissione di “esperti” come Georges-Michel Coissac, per decidere su questioni come la seguente: chi aveva usato per primo la croce di Malta in un proiettore cinematografico, Grimoin-Sanson o Pierre-Victor Continsouza? (In realtà erano stati Jules Carpentier e René Bunzl.)
Grimoin-Sanson accusò la commissione di bloccare la distribuzione del suo film, in modo che la Pathé potesse spedire in fretta e furia nelle sale una pellicola rivale (che alla fine sarebbe stata La Machine à refaire la vie), con una versione alternativa di invenzioni e “prime volte”. Da un certo punto di vista, tuttavia, fu Grimoin-Sanson a ridere per ultimo: la sezione cinematografica del CNAM rimase sostanzialmente immutata fino agli anni Ottanta, e il suo film viene proiettato ancor oggi nel museo ove esordì 93 anni or sono: fa ancora parte, quindi, della narrazione ufficiale dello Stato francese sulle origini del cinema.

Dimtrios Latsis 

LA MACHINE À REFAIRE LA VIE (FR 1933) [riedizione sonora/sound reissue]
regia/dir: Julien Duvivier, Henry Lepage. photog: Edouard Pasquié, asst. Charles-Henri Montel. mus: Roger Desormière. narr: Robert Finet. prod: Julien Duvivier. dist: Pathé. première: 30.03.1924 (Paris). uscita/rel (sd. reissue): 03.1933. copia/copy: 35mm, 808 m., 29′ (24 fps), sd.; did./titles, dial: FRA. fonte/source: CNC – Centre national du cinéma et de l’image animée, Bois d’Arcy.
La Machine à refaire la vie di Julien Duvivier e Henry Lepage (1924/1933) fu il primo documentario di lungo metraggio dedicato alla storia e alla preistoria del cinema; anzi, fu il primo film non-fiction di qualche rilievo a trattare l’argomento in maniera sistematica. Presentato per la prima volta nel 1924 nella forma di uno stravagante spettacolo di tre ore, sopravvive solo nella presente versione sonora realizzata dagli stessi co-registi nel 1933. Precedette di due anni Thirty Years of Motion Pictures di Otto Nelson e Terry Ramsaye (1926), che è simile per lunghezza iniziale, struttura complessiva e concezione originaria (una conferenza sulla storia del medium, accompagnata da estratti di quelle che allora erano spesso definite le origini “primitive” del cinema). La Machine à refaire la vie è il prodotto di due fenomeni correlati della cultura cinéphile francese degli anni Venti: la diffusione del movimento dei cine-club e l’interesse per il passato della Settima arte, nato verso la metà di quel decennio con il trentesimo anniversario delle prime proiezioni dei Lumière, e intensificatosi poi allorché l’incombente spettro del sonoro iniziò a minacciare di obsolescenza l’arte del cinema muto. Il film fu sponsorizzato dal “Club des Amis du 7ème art” e fruì del sostegno del Ministère de l’Instruction publique. L’anteprima ebbe luogo a Lille e fu pubblicizzata come una “retrospettiva” con un narratore dal vivo: essenzialmente una compilazione di estratti da cento film con il parallelo commento di Duvivier, che sarebbe poi divenuto una delle figure più importanti del realismo poetico francese negli anni Trenta e nei decenni successivi. La prima si tenne invece al Théâtre des Champs-Élysées in una serata di gala della Société des Auteurs de films in onore di Louis Lumière; seguirono numerose altre proiezioni dal 1926 al 1932 (una delle quali alla Comédie Française).
Strutturato originariamente in quattro parti – Storia delle invenzioni (Invention du cinéma); Lo sviluppo del cinema prima della prima guerra mondiale (Les étapes du cinéma d’avant-guerre); Cinema moderno (Le cinéma moderne); Tendenze artistiche del cinema contemporaneo (Les tendances artistiques du cinéma d’aujourd’hui) – il film si proponeva come una storia tecnologica ed estetica, avente la missione teleologica di illustrare l’evoluzione del cinema francese, diventato a metà degli anni Venti un’industria artistica pienamente sviluppata. Costituì il modello per i successivi film di questo tipo fissando un canone di inventori e di opere fondamentali (da La sortie de l’usine Lumière a Le Brasier ardent), proponendo un panorama di caratteristiche tecniche (effetti, colore, persino film tridimensionali), attirando l’attenzione sulle correnti artistiche (espressionismo, ritmo, montaggio e mise-en-scène) e contemplando discorsi paralleli sui film non fiction e non destinati ai circuiti commerciali (documentari, film di guerra, pedagogici e scientifici), nonché una conclusione didattica sulla “realizzazione di un film”. Nella versione sonora del 1933 furono aggiunti una sezione sul cinema sonoro e sugli studi cinematografici francesi, compresa la loro produzione nei primi anni Trenta, nonché un tributo al settantenne Louis Lumière.
Benché fortemente intrisi di nazionalismo (Reynaud, Marey, Lumière, Pathé e Gaumont ricevono il dovuto riconoscimento, ma non una parola si spende su Muybridge, Edison o Dickson), La Machine à refaire la vie e L’Histoire du cinéma par le cinéma di Raoul Grimoin-Sanson rimangono pietre miliari nella storiografia sul cinema, in quanto corrispettivi filmati delle prime storie scritte di questo medium, nonché tentativi pionieristici di archeologia dei media avant la lettre.

Dimitrios Latsis

UNE CITÉ FRANÇAISE DU CINÉMA (Une cité du cinéma) (FR 1928)
regia/dir, scen: Pierre Chenal. photog: Edouard Pasquié, Marcel Desnos, asst. Charles-Henry Montel. prod: Pathé-Natan. dist: Pathé. uscita/rel: 01.04.1928. copia/copy: 35mm, 208 m., 10’56” (18 fps); did./titles: FRA. fonte/source: CNC – Centre national du cinéma et de l’image animée, Bois d’Arcy.
In quanto controparte francese dei film americani incentrati sulle visite agli stabilimenti cinematografici, Une cité française du cinéma costituisce un tardo esempio del genere e contemporaneamente un salutare cambiamento di prospettiva, giacché si concentra sul lavoro e sulle maestranze coinvolte nella realizzazione di un film. Questo cortometraggio, che adotta la struttura del film industriale, inizia dove gli altri di solito finiscono: presenta il flusso di lavoro tecnico dei laboratori Pathé a Joinville (una vera “città del cinema”), dalle operazioni di sviluppo e asciugatura dei negativi (sia a 35mm che nel formato amatoriale prodotto dalla società, Pathé Baby) alla stampa delle copie positive, alla colorazione a pochoir e infine al montaggio effettuato da uno stuolo di abili lavoratrici. Veniamo poi trasportati nei vari palazzi del cinema della Pathé nella regione di Parigi, tappezzati di manifesti degli spettacoli in programmazione e di quelli in arrivo; tornando a Joinville il film si conclude con brevi visite ai reparti degli oggetti di scena e dei set. Lo straordinario découpage, il fascino dei movimenti di macchina con lunghe carrellate e primi piani, le dettagliate didascalie redatte con intento pedagogico piuttosto che promozionale: tutto questo testimonia del peculiare approccio adottato dagli studi europei per la produzione di filmati di notizie e curiosità varie inerenti le proprie attività. Agli inizi di una prestigiosa carriera, il regista Pierre Chenal (1904-1990) diresse una serie di corto- e mediometraggi non-fiction, tra cui Paris Cinéma (1929) e – ugualmente dedicato al mondo del lavoro – Les petits métiers de Paris (1932), che traeva spunto dalle fotografie dei venditori ambulanti di Parigi scattate da Eugène Atget e André Kertész.

Dimitrios Latsis

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