SALLY, IRENE AND MARY

SALLY, IRENE AND MARY
(Le tre grazie)
Edmund Goulding (US 1925)

Pare che tutto quanto rimane impresso nella memoria arrivi in forma di triadi: i tre desideri magici, i tre orsi di Riccioli d’Oro, i tre moschettieri; ed ecco qui una saga di Broadway su tre bellissime ballerine di fila, Sally, Irene and Mary. Sembra che i cineasti e gli spettatori degli anni Venti non si stancassero mai di raccontare e sentirsi raccontare storie sulla vita dietro le quinte. Lo fecero anche qui in un misto di glamour, commedia e dramma, imbandito con stile da un trio stellare: Constance Bennett (Sally), Joan Crawford (Irene) e Sally O’Neil (Mary).
Il mondo delle soubrettes, dei paparini benestanti, degli aiutanti di scena e dei bon viveurs, con tutti i pericoli della vita di palcoscenico annessi e connessi, aveva attratto l’attenzione del pubblico almeno da quando Florenz Ziegfeld cominciò a “glorificare la ragazza americana” nel 1907 nei suoi suoi sontuosi spettacoli annuali di rivista Follies Revues, un’immagine poi ritratta con toni più leggeri e ammiccanti nella fortunata pièce teatrale di Avery Hopwood The Gold Diggers. Tutti sapevano che sotto i lustrini e i riflettori c’era un mondo meno sfavillante, un maelstrom di ambizioni e cuori infranti: le ballerine di fila erano dovevano anche lavorare sodo, e lo spettacolo doveva sempre e comunque andare avanti. Sally, Irene and Mary presenta il destino e le fortune del suo trio nella tradizionale confezione di scene in camerino, spettacoli veri e propri e incisive didascalie, il tutto intrecciato a una storia di povere ragazze nelle loro camere in affitto, in balìa delle tentazioni della grande città, braccate dai “lupi di Broadway” mentre ancora sognano i loro fidanzati perbene, giù nel Lower East Side di Manhattan.
Il soggetto prese vita nel 1921 in forma di numero vaudeville con Eddie Dowling, interpretato anche da Jimmy Dugan e da tre ballerine fra loro amiche, il cui nome alludeva alle protagoniste di altrettanti musical di successo, rispettivamente intitolati Sally, Irene, e Mary, con tanto di interpretazioni delle canzoni di successo in ciascuna. Il numero diventò a un certo punto uno spettacolo teatrale a sé stante prodotto dalla Shubert e infine un musical di Broadway in grande stile, che rimase in cartellone per quasi un anno nella stagione 1922-23, con una riedizione nel 1925.
Al momento in cui approdò sul grande schermo, questa semplice storia fu trasformata dal versatile Edmund Goulding in un misto di commedia e melodramma. La sceneggiatura non pretende di essere originale, ma le sue scene e le sue figure sono comunque tratteggiate in maniera vivida e memorabile. Goulding era uno sceneggiatore prolifico e pieno di inventiva (fu co-autore della sceneggiatura di Tol’able David e del testo teatrale Dancing Mothers, nonché responsabile del soggetto del celebre film parlato della MGM The Broadway Melody), ma aveva altresì il dono di saper dirigere con sensibilità le interpreti femminili. Questo è solo il suo secondo film come regista, ma il suo talento è già in bella mostra, come si vedrà più tardi nel suo lavoro con Greta Garbo (Love), Gloria Swanson (The Trespasser), il cast stellare di Grand Hotel, e Bette Davis (Dark Victory e The Old Maid).
I primi cinque minuti del film introducono con ammirevole concisione ciascuna delle tre eroine che arrivano a teatro per il lo spettacolo in cui lavorano, “The Dainties”. La personalità di ciascuna di esse è subito tratteggiata con grande chiarezza.
Sally, interpretata dall’affascinante bionda Constance Bennett, è elegante, sa come va il mondo, soprattutto quello dello spettacolo e,  guarda caso, si fa mantenere da un vecchio riccone che le offre una vita agiata con tanto di appartamento lussuoso, pellicce e vestiti alla moda.
Joan Crawford è Irene: ingenua, romantica, superstiziosa, sempre in bolletta, alla ricerca del grande amore ma con una disgrazia che la attende dietro l’angolo. Sotto il nome di Lucille Le Sueur, Crawford era una nuova arrivata a Hollywood, appena reduce da ruoli di ballerina di fila in una rivista Shubert a Broadway. Non aveva studiato recitazione, ma sapeva certamente ballare uno scatenato Charleston. E non vedeva l’ora di imparare il mestiere. Per fortuna trovò i maestri giusti: l’operatore John Arnold, e soprattutto Edmund Goulding. Questo era solo il suo quarto film, ma il primo in cui le sue doti di primattrice e i suoi occhi espressivi furono finalmente messi in pieno risalto; aveva fotogenìa da vendere. Goulding riconobbe subito il suo potenziale, dicendo a quanto pare a Walter Wanger: “È la scoperta dell’anno, Walter, la più grande rivelazione dell’anno! Bella, piena di emozione… diventerà una stella.” Crawford gli fu sempre grata di questo; diversi anni dopo disse a un giornalista che “se non fosse per Eddie sarei ancora lì a ballare il Charleston sui tavoli”.
Ma l’autentica dominatrice del film è Mary, la vivace ragazza irlandese dei quartieri operai, che mantiene la testa a posto nonostante il successo, pur rimanendo affascinata dal nuovo mondo che la circonda. Il ruolo era stato inizialmente assegnato ad Eleanor Boardman, ma la piccola, scoppiettante Sally O’Neil (il suo vero nome è Virginia “Chotsey” Noonan), baciata da un innato senso dell’umorismo, fu ingaggiata poco prima dell’inizio delle riprese. Photoplay la giudicò “la fine del mondo!”, e il pubblico si trovò d’accordo. Ottima è anche la sua accoppiata con William Haines, bello e con la faccia da ragazzino, nella parte del suo fidanzato Jimmy Dugan, di professione idraulico (il suo ruolo è molto più modesto di quello di Eddie Dowling nella versione teatrale).  A conti fatti, il film si fa tuttavia ricordare oggi soprattutto per Joan Crawford, a partire dalla sua prima scena, in cui osserva un ragazzino che balla per strada, si lascia cadere la borsetta dei trucchi e lo raccoglie scrutando lo specchio rotto, foriero di sventura (il nostro primo sguardo sugli incredibili occhi di Crawford!); poi nella sequenza in cui si esibisce sul palcoscenico in un vertiginoso Charleston; o in quella dove riappare in forma di spirito, unendosi al resto del cast in un altro memorabile Charleston dall’aldilà a chiusura di spettacolo.
La stessa Crawford è protagonista delle sequenze più affascinanti sul piano puramente visivo. Oltre alla già citata immagine dello specchio rotto c’è il suo duetto insieme al bon viveur, con le parole della romantica canzone di Victor Herbert “A Kiss in the Dark” che riverberano sulle note di un pianoforte, a contrappunto della sua delusione sull’essere stata respinta non appena l’uomo si è accorto che lei è una ragazza per bene. Ancor più degna di nota è la suspense suscitata dal telegrafista della Western Union intento a battere il telegramma in cui Irene informa Mary della sua fuga amorosa. Il messaggio è rivelato in frammenti, in un montaggio alternato a immagini di un’automobile in corsa accanto a un treno, fino al tragico scontro frontale.
Fra gli altri tesori del film vanno segnalati i meravigliosi costumi delle ballerine, opera dell’emigrato russo Erté (Romain de Tirtoff), acclamato illustratore di Harper’s Bazaar e geniale designer per esaltanti spettacoli di varietà a Parigi e New York. La sua presenza alla MGM fu di breve durata, ma per fortuna Sally, Irene and Mary diede piena espressione alla sua creatività in un numero che mostra una bottiglia di profumo rotante, decorata in cima con ballerine ingioiellate e Mary alla sommità, con un copricapo in stile Art Déco e vestita solo con lunghe strisce di perle. A quella vista, il fidanzato idraulico di Mary rimane esterrefatto: “E i suoi vestiti?” Si osservi inoltre la squisita camera da letto d’impronta art nouveau con il motivo a farfalle (un recensore di Variety la descrive come “un vero incubo”)e il soggiorno nell’abitazione di Sally, cosparso di cuscini per gli ospiti. Il ruvido ambiente del teatro, gli esterni in strada e i quartieri popolari disegnati da Cedric Gibbons e Merrill Pye fanno da contraltare al mondo della fantasia, iniettandovi per contrasto una salutare dose di realismo.
La triste fine di Irene è a suo modo una lezione morale; Sally ci commuove quando alla fine crolla e confessa di amare il donnaiolo che la sta mantenendo. Mary, dal canto suo, sopravviverà a tutte le traversie, lasciandosi alle spalle la vacuità del lusso e della moda. La scena finale è toccante e gioiosa a un tempo, con i due amanti, Mary e Jimmy, riuniti sul tetto di un condominio, sotto una luna ricreata in studio.
Quanto a Sally, Irene e Mary nella vita reale (Constance, Joan e Sally), le tre attrici ebbero destini molto diversi fra loro. La meteorica ascesa di Sally O’Neil non durò molto, nonostante i film interpretati per Buster Keaton e John Ford; la sua difficile vita privata, i guai familiari con la legge e un temperamento esplosivo non le furono di aiuto. L’esistenza di Constance Bennett fu simile a quella del suo personaggio nel film: già acclamata come stella di prima grandezza, ruppe il contratto per sposare un milionario, ma il suo ritiro dalle scene fu solo temporaneo; vi fece ritorno nel 1929, ridiventando una delle attrici meglio pagate a Hollywood e interpretando una serie di pellicole a soggetto femminile, compreso What Price Hollywood. Joan Crawford, infine, diventò un’autentica diva dello schermo, e una vera e propria leggenda del cinema. Lo era ancora a pieno diritto quando morì nel 1977. In un necrologio per il New York Times, George Cukor rese omaggio alla sua lunga storia d’amore con la macchina da presa: “Per molti era difficile rimanere calmi davanti a quel mastodonte che si fa sempre più vicino. Non per Joan Crawford. Più la macchina da presa si avvicinava, più lei si faceva tenera e arrendevole: gli occhi luccicanti, le avide labbra in estatica accettazione di ciò che accadrà. Ho il sospetto che la macchina da presa abbia visto un lato di lei che nessun amante in carne e ossa ha mai veduto. … Pensavo che Joan Crawford non potesse morire. A pensarci bene, finché esisterà la celluloide e finché il nome di Hollywood significherà qualcosa, lei non morirà mai.”

Catherine A. Surowiec

regia/dir: Edmund Goulding.
scen: Edmund Goulding, dalla pièce di/based on the play by Eddie [Edward] Dowling & Cyrus Wood (New York, 04.09.1922-02.06.1923, revival 23.03-04.04.1925).
did/titles: Joseph W. Farnham.
photog: John Arnold.
mont/ed: Harold Young, asst. Arthur Johns.
scg/des: Cedric Gibbons, Merrill Pye; non accreditati/uncredited: Erté [Romain de Tirtoff].
cost: André-Ani [Clement Andreani]; non accreditati/uncredited: Erté [Romain de Tirtoff].
choreog: Fanchon [Fanchon Wolf].
cast: Constance Bennett (Sally Fitzgerald), Joan Crawford (Irene O’Dare), Sally O’Neil (Mary O’Brien), William Haines (Jimmy Dugan), Douglas Gilmore (Paul), Ray Howard (Jerry), Aggie Herrin (Mrs. O’Brien), Kate Price (Mrs. Dugan), Lillian Elliott (Mrs. O’Dare), Henry Kolker (Marcus Morton), Sam De Grasse (Tim O’Dare), Edna Mae Cooper (Maggie); non accreditati/uncredited: Jane Arden, Dorothy Chandler, Dorothy Dorr, Dorothy Dunbar, Dixie Harkins, Molly McKaye [McKay], Amber Norman, Janice Peters, Mary Stuart (ballerine/chorus girls), Tom O’Brien (direttore di scena/stage manager), Ben Hall (aiutante di scena/stagehand; callboy), Jay Kirkham, Ethel Sylas, Ah Soo (inserviente/servant), C. G. Bryden (clown), Wilhelm von Brincken (ospite alla festa/party reveller), Leilani Deas (ragazza hawaiiana/a Hawaiian girl), Lola Webster (ballerina/a dancer).
prod: Edmund Goulding, Metro-Goldwyn-Mayer.
dist: M-G-M.
riprese/filmed: 09-10.1925 (22 giorni/days).
première: 06.12.1925 (Capitol, New York).
uscita/rel: 27.12.1925.
copia/copy: DCP, 76′ (da/from 35mm fine grain master della/from Warner Bros. ricavato dal negativo camera originale del 1925/struck from the original 1925 camera neg.), orig. l: 5564 ft.); did./titles: ENG.
fonte/source: George Eastman Museum, Rochester, NY.
Restaurato con il sostegno di/Preserved with the support of The Louis B. Mayer Foundation.

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