SLAPSTICK PROG. 1

Slapstick europeo – Prog. 1
Il tardo Linder

MAX COMES ACROSS (Max in America) (US 1917)
regia/dir, scen: Max Linder. photog: Arthur E. Reeves. cast: Max Linder (se stesso/himself), Martha Early [Martha Mansfield] (Martha?), Ernest Maupain (Victor?), Helen Ferguson, Mattie [Mathilde] Comont. prod: Essanay. anteprima esercenti/trade screening: 06.02.1917 (Loew’s, New York). uscita/rel: 18.02.1917 (Strand, New York). copia/copy: DCP, 16′ (da/from 35mm); did./titles: ROM. fonte/source: Arhiva Nationala de Filme – Cinemateca Romana, Bucuresti.
Per il primo film girato nel quadro del suo nuovo contratto con la Essanay, Linder si ispirò al lungo viaggio che lo aveva condotto in America sul transatlantico francese Espagne durante la guerra e al concretissimo pericolo che la nave venisse affondata dai sommergibili nemici, oltre che ai consueti piaceri e seccature di ogni crociera di lusso. Un viaggio del genere offriva certamente infiniti spunti per gag e situazioni comiche, circostanza che non sfuggì a Linder. Giunto a Chicago nel novembre del 1916, Linder ordinò di riprodurre l’Espagne in ogni minimo particolare nel più grande dei teatri di posa Essanay disponibile. George K. Spoor, presidente della società, accettò  al prezzo di molte migliaia di dollari. Il set in cui Linder ricostruì il salone di bordo, completo di pianoforte a coda, utilizzava la tecnologia del set basculante resa più tardi famosa da Charlie Chaplin nel suo film Mutual The Immigrant (1917). La vicenda è complicata dal mal di mare e dagli altri bizzarri inconvenienti delle traversate marittime: la nave viene bombardata, Max nel suo pigiama rosso non crede che vi sia un’emergenza, pensando a uno scherzo del compagno di viaggio con cui aveva stretto amicizia a bordo, e altre situazioni comiche dello stesso genere.
La trama comprende anche una rivalità sentimentale tra i due uomini, i quali si contendono i favori di una fanciulla interpretata dalla sconosciuta Martha Early, che presto avrebbe assunto il nome di Martha Mansfield. Purtroppo, l’attrice è oggi ricordata  soprattutto per la sua tragica fine: sul set di The Warrens of Virginia (1924), il suo costume prese fuoco e a causa delle ustioni lei morì giorni dopo.
Le lusinghe con cui, nel 1916, George K. Spoor indusse Max Linder a firmare un contratto che prevedeva 12 film sono diventate una leggenda della pubblicità cinematografica. Un suo parente e rappresentante della Essanay in Europa, H. A. Spoor, avrebbe rintracciato Linder, convalescente dopo una ferita d’arma da fuoco al polmone presso l’ospedale militare della cittadina termale francese di Contrexéville, convincendolo a siglare un contratto da 260.000 dollari e spedendolo negli Stati Uniti via mare mesi più tardi, dopo un altro periodo di convalescenza trascorso dall’artista in Svizzera.
La recensione scritta da Peter Milne per Motion Picture News porta a credere che il primo film Essanay di Linder sia stato un fiasco: “Max Comes Across risente della mancanza pressoché totale di una trama. Per mascherare questa lacuna ciascun episodio del film è stato allungato sino a diluirne considerevolmente l’umorismo.”  Milne aggiunse che “Linder è ancora imbevuto di quell’idea europea di humour che non sempre funziona nel nostro paese”.  Linder avrebbe imparato la lezione, ma troppo tardi perché il contratto con la Essanay avesse successo. Sul Moving Picture World, tuttavia, James S. McQuade elogiò una sequenza in particolare: “L’esibizione di Max in qualità di pianista, durante un concerto speciale a bordo della nave, è uno degli episodi più divertenti del viaggio. Si scatena una tempesta e il pianoforte scivola avanti e indietro nel salone; Max deve inseguirlo affannosamente o battere precipitosamente in ritirata, ma non viene mai sbalzato dal seggiolino, benché questo talvolta si rovesci nelle sue folli giravolte.”
Sul tempaccio di Chicago Linder la pensava come Chaplin, ma resistette in quella città per girare il suo secondo film, spostandosi poi in California per il terzo. Non portò mai a termine il contratto da dodici film con la Essanay: nella primavera del 1917 si ammalò gravemente e nell’estate successiva ritornò a Parigi. L’esperienza con la Essanay lasciò l’amaro in bocca a lui, ma anche a George K. Spoor, che tanti sforzi aveva fatto per ingaggiarlo.

MAX ENTRE DEUX FEUX (US: Max, the Heartbreaker; GB: From the Frying Pan into the Fire) (FR 1917)
regia/dir, scen: Max Linder. cast: Max Linder (se stesso/himself), Marcelle Leuvielle (Dora, la bionda/the blonde), ? (Maud, la mora/the brunette). prod: Pathé (cat. no. 7727). riprese/filmed: 1916 (Genève). anteprima esercenti/trade screening: 03.04.1917. uscita/rel: 04.05.1917 (Omnia Pathé, Paris). copia/copy: DCP, 11′ (da/from 35mm, [orig. 580 m.]); did./titles: FRA. fonte/source: Gaumont Pathé Archives, Saint-Ouen, Paris.
Quando si sentiva vicino al crollo mentale o fisico, Max Linder si rifugiava in Svizzera (a Chamonix o a Montreux) oppure sulla riviera francese (a Nizza o a Monte Carlo). Tali erano le sue condizioni quando girò Max entre deux feux, realizzato assai probabilmente nel 1916 ma distribuito solo nella primavera successiva, quando Linder si trovava ancora in America. La Pathé spesso rinviava la distribuzione dei suoi film, in modo da mantenerlo sugli schermi francesi con la maggior frequenza possibile.
In questo periodo di convalescenza, Linder portò con sé la sorella Marcelle, cui affidò il ruolo di una delle due donne che nel film si contendono il suo affetto. Nel tipico stile dell’elegantone maxlinderiano, egli giunge sulla Costa Azzurra e decide di corteggiare due donne, nella speranza che nessuna delle due si accorga dell’altra. Per un po’ ci riesce, ma l’inganno è presto scoperto. Le due signore si sfidano allora a duello per decidere quale di loro dovrà essere il vero amore di Max; questi si nasconde su un albero per osservare lo svolgimento della tenzone, ma finisce per buscarsi una pallottola.
Il critico del Moving Picture World (30 giugno 1917) dedicò più inchiostro alla “bellezza scenografica della Riviera” che alla riuscita o meno della comica: “La comicità tarda ad arrivare, ma quando arriva, Max suscita risate in quantità.” Certamente, l’apparizione di Linder in un film Pathé nella primavera del 1917 deve aver confuso  il pubblico, poiché i giornali erano occupati a seguire le sue attività in America, dove egli aveva firmato un contratto con la Essanay.

LE PETIT CAFÉ (Il Caffé Philibert) (FR 1919)
regia/dir, mont/ed: Raymond Bernard. scen, adapt: Raymond Bernard, Henri Diamant-Berger, sulla pièce di/based on the play by Tristan Bernard (1912). photog: Marc Bujard, ? Dugord. cast: Max Linder (Albert Loriflan), Henri Debain (lo sguattero/the dishwasher), Jean Joffre (Philibert), Wanda Lyon (Yvonne Philibert, sua figlia/his daughter), Flavienne Mérindol (Edwige), Andrée Barelly (Bérangère d’Aquitaine), Armand Bernard (Bouzin), Francis Halma (Bigredon), Major Heitner (il pianista tzigano/gypsy pianist). prod: Films Diamant-Berger. dist: Pathé-Consortium-Cinéma. anteprima esercenti/trade screening: 15.11.1919 (Ciné Max-Linder, Paris). uscita/rel: 19.12.1919 (Omnia Pathé, Paris). copia/copy: 35mm, 1266 m., 55′ (20 fps); did./titles: FRA. fonte/source: Národni filmový archiv, Praha.
Nell’estate del 1917 Max Linder tornò dagli Stati Uniti, deluso e insoddisfatto per le condizioni del suo contratto con la Essanay e per il relativo insuccesso dei film che aveva girato con quella casa di produzione. Per dare nuovo impulso alla sua carriera cinematografica francese, scelse di adattare Le Petit Café, un popolare lavoro teatrale scritto nel 1912 da Tristan Bernard. Il regista sarebbe stato il figlio di Bernard, Raymond, mentre il produttore sarebbe stato Henri Diamant-Berger, amico di Linder.
Benché questa sia la prima versione per lo schermo della commedia di Bernard, la trama di quest’ultima avrà sicuramente ispirato la pellicola di Mack Sennett Tillie’s Punctured Romance (1915): in entrambi i film figura un ricco patriarca appassionato di alpinismo che precipita e muore, con gli eredi “mancanti” che apprendono dell’eredità mentre servono ai tavoli.
Linder è l’erede sconosciuto, Albert Loriflan, che trova lavoro al Café Philibert. Egli ignora la bellezza e il fascino della figlia di Philibert, Yvonne (interpretata dall’attrice americana Wanda Lyon), e sul luogo di lavoro è perseguitato dalle morose vecchie e nuove. Dall’avventura di una notte con la violinista Edwige (energicamente incarnata da Flavienne Mérindol) nascono vari comici incontri, che raggiungono il culmine nella scena in cui Edwige, respinta, presenta ad Albert i suoi numerosi figlioletti sperando di conquistare la simpatia e l’“amore” di lui. Quando alla fine Albert riscuote l’eredità, dopo aver sventato il tentativo congiunto di sottrargliela da parte dell’avvocato di suo padre e di Philibert, l’umile cameriere si trasforma, nelle ore di libertà,  in un elegante uomo di mondo. Ne scaturisce ben presto una storia d’amore con la facoltosa Bérangère d’Aquitaine, in scene girate al padiglione del Bois de Boulogne. In seguito, Bérangère sorprende Albert mentre spazza i pavimenti al caffè, lo affronta e lo abbandona disgustata. Albert e Yvonne si accorgono finalmente l’uno dell’altra ed egli comprende che in fondo non occorre aver denaro per essere ricchi.
Forse Linder, prima di accettare quest’adattamento, attese che fossero passati cinque anni buoni dall’uscita di Caught in a Cabaret di Charlie Chaplin (Keystone, 1914), per non ripetere, gag dopo gag, il film di gran successo in cui Chaplin aveva narrato la vicenda di un cameriere che si finge un ricco signore per corteggiare donne di ceto sociale superiore. Linder aveva incontrato Chaplin a Hollywood nel 1917 e i due rivali avevano stabilito un rapporto di reciproca ammirazione. Se il pubblico nota i nessi con Caught in a Cabaret o Tillie’s Punctured Romance, Linder intende chiaramente questo film come un omaggio, o almeno un cenno di riconoscimento, al suo giovane omologo e concorrente: nella prima scena, vediamo Linder prodursi in un’imitazione fuori contesto di Charlot, facendo smorfie alla macchina da presa in quello che potrebbe essere un messaggio personale allo stesso Charlie.
In questo film Bernard ricorre di frequente all’iride in apertura, che era una pratica comune; è forse più significativo che egli faccia “narrare” Max Linder nella stessa inquadratura in cui compaiono le didascalie, e qualche volta lo faccia “narrare” nella parte inferiore dell’inquadratura, mentre attori e azione si vedono nella parte superiore. Inoltre, parecchi anni prima di A Woman of Paris di Chaplin (1923) e delle opere americane di Ernst Lubitsch, Bernard riesce efficacemente a descrivere una delle avventure di una notte di Albert (quella con Edwige) puntando la cinepresa sull’ombrello rotto di lui, lasciato sulla soglia della casa di lei quando i due vi giungono al buio, e ancora nell’identica posizione la mattina seguente.
G. de LaPlane intervistò Linder per la rivista francese La Rampe nell’ottobre del 1919, poco prima dell’esordio del film. Ecco le impressioni dell’attore: “Volevo semplicemente sfruttare l’estate girando un film in Francia. Diamant-Berger mi ha offerto una parte che desideravo interpretare da parecchi anni e quindi ho accettato. Convinto che le star debbano dare l’esempio, mi sono sforzato di realizzare la volontà dell’autore e regista nel corso di tre mesi di amichevole collaborazione. Raramente mi sono imbattuto in un  ruolo che, per un attore, fosse più attraente di quello di Albert in Le Petit Café. Sono felice di essere riuscito a portarlo sullo schermo.”
A parere di Louis Delluc, che recensì il film su Paris-Midi (21.12.1919) e Le Siècle (22.12.1919), chi aveva apprezzato la versione teatrale, avrebbe gradito anche quella cinematografica. “Riderete di nuovo”, scrisse. Il critico elogiò tutta la troupe — e il regista Bernard — ma dedicò spazio assai maggiore a Linder: “Noteremo una particolare cura nel gioco delle luci e nella scelta di ‘ambientazioni naturali’. Se non vedremo tutto, se non ci accorgeremo di questi particolari che pure varrebbe la pena di ricordare, la colpa sarà di Max Linder. Egli è così sfavillante che viene da chiedersi se questa non sia una commedia intitolata Max Linder, in cui tutti i personaggi si chiamano Max Linder, e tutti gli attori sono l’unico e innumerevole Max Linder. Non lo abbiamo mai visto spendere tanta verve ed energia. Che fuochi d’artificio! Umorista, acrobata, ballerino, giocoliere, mimo, attor giovane, quale ruolo non interpreta? Questa è una parte fatta su misura per portare al trionfo tutte le sue brillanti doti. Finalmente!”
Il film di Linder godette di una lunga popolarità. Maurice Chevalier ne propose un rifacimento alla Paramount, che acquistò i diritti cinematografici e lo realizzò a Hollywood nel 1930 in due versioni, una inglese e una francese (Playboy of Paris e Le Petit Café), entrambe interpretate da Chevalier e dirette da Ludwig Berger. Il copione funzionava ancora: la versione francese ebbe un a Parigi un successo strepitoso.

AU SECOURS!
(FR 1924)

regia/dir: Abel Gance. scen: Abel Gance, da un’idea di/from an idea by Max Linder. photog: Georges Specht, Emile Pierre, André Raybas. cast: Max Linder (Max), Gina Palerme (Sylvette), Jean Toulout (Comte de l’Estocade). riprese/filmed: 1923. prod: Films Abel Gance. dist: Comptoir Ciné Location Gaumont. anteprima esercenti/trade screening: 17.06 + 26.08.1924. uscita/rel: 24.10.1924. copia/copy: 35mm, 490 m. (orig. 1500 m. ridotti a/cut to 900 m.), 24′ (18 fps); did./titles: FRA, sbt. ENG. fonte/source: BFI National Archive, London.
Quando prese in considerazione l’idea di realizzare un film con il vecchio amico Max Linder, Abel Gance aveva ormai completato il suo capolavoro  La Roue (1923) e stava per iniziarne un altro, l’epico film di sette ore Napoléon (1927). Si mormorò che Linder avesse scommesso con Gance che non sarebbe riuscito a girare un film in tre giorni; il risultato sarebbe stato Au secours! di 18 minuti.
All’inizio della vicenda, il personaggio interpretato da Linder si reca al proprio club, la prima sera della sua luna di miele e accetta una scommessa: riuscirà a resistere in una certa casa infestata dagli spiriti per un’ora intera, dalle undici a mezzanotte. Accolto da una folta schiera di demoni, fantasmi e animali spaventevoli, egli è ormai a uno o due minuti dalla vittoria, quando riceve una telefonata: la sua novella sposa Sylvette, in preda al panico, gli comunica che un mostro la sta aggredendo. In una scena tesa ed emozionante, Max cede subito alle lacrime temendo per la sorte della moglie, perde la scommessa e si precipita a casa, per scoprire che ella non corre alcun pericolo. Il proprietario della casa infestata, anch’egli membro del club, ha escogitato questo stratagemma per pagare una parte delle spese (non ha mai perso una di queste scommesse).
Il film fu un insuccesso di pubblico — esiste un carteggio che documenta gli sforzi compiuti da Gance per farlo distribuire in qualche modo in America — ma contiene alcuni rudimentali elementi dello  stile di Gance: in particolare il montaggio ad alta velocità, le immagini in negativo, le riprese al rallentatore e il rovesciamento delle direzioni di ripresa. Per esempio, nella scena in cui Max è appeso a un candelabro, Gance distorce le immagini per creare una reale sensazione di vertigine.
Tra la fine delle riprese, nel giugno 1923, e l’uscita del film il 24 ottobre 1924, Linder incontrò la donna che avrebbe segnato il suo definitivo sprofondare nella follia: la giovane Ninette Peters, che conobbe in Svizzera mentre recuperava le forze dopo la collaborazione con Gance. Dapprima la rapì, e poi la sposò il 2 agosto 1923 nella chiesa di Saint Honoré d’Eylau a Parigi. Gance fu una delle poche persone che ricevettero la partecipazione di nozze sia dalla famiglia della sposa che da quella dello sposo. In quel momento all’orizzonte di Linder vi era un solo film, Le Roi du Cirque / Max, der Zirkuskönig (1924), che avrebbe girato presso i nuovissimi studio Vita-Film di Vienna. Lì egli avrebbe cercato per la prima volta di uccidere sua moglie e se stesso. Il secondo tentativo, riuscito, ebbe luogo un anno dopo all’Hotel Baltimore di Parigi, la notte di Halloween del 1925.

Lisa Stein Haven

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