WEIMAR PROG 3

Prog. 3 La questione sociale

MÄUSEZUCHT. EIN LOHNENDER NEBENERWERB DES KLEINEN MANNES [L’allevamento di topi. Una proficua fonte di reddito supplementare per l’uomo comune] (DE 1921)
regia/dir: Dr. Georg Victor Mendel? photog: Dr. Georg Victor Mendel. prod: National-Film AG, Berlin. copia/copy: DCP, 9′, col. (da/from 35mm nitr., 163 m., 18 fps, imbibito/tinted); did./titles: GER. fonte/source: DFF – Deutsches Filminstitut & Filmmuseum, Frankfurt-am-Main.
Questo cortometraggio live-action prodotto dalla National-Film AG pone fin dall’inizio una sfida interessante, a causa del titolo: Mäusezucht. Ein lohnender Nebenerwerb des kleinen Mannes (L’allevamento di topi. Una proficua fonte di reddito supplementare per l’uomo comune). Il film, in effetti, spiega in maniera convincente come si possano allevare topi in quantità, ma non fornisce informazioni sul modo di ricavarne un reddito; forse si riteneva che si trattasse di un particolare ovvio, o forse la seconda parte del titolo è solo una promessa vuota o un trucco.

Su tutti gli altri livelli, la propaganda di Victor Mendel per la propagazione dei sorci funziona egregiamente, mantenendosi in equilibrio sul limite tra didattica e divertimento ed evocando temi assai discussi tra la fine degli anni Dieci e i primi anni Venti, come la fertilità e la genetica, ritenute evidentemente importanti nel contesto della Volksgesundheit (salute pubblica) dopo le enormi perdite di vite umane inflitte dalla prima guerra mondiale. Il film riesce a fondere questi argomenti angosciosi, con uno stile gradevole e discorsivo, in un Kulturfilm che funge da annuncio di un servizio pubblico e insieme da lezione di biologia, presentato come documento informativo e contemporaneamente come opera di intrattenimento.
Il piacere del gioco con i mobilissimi animaletti domestici è lasciato ai bambini, mentre le cure necessarie per la sopravvivenza, il benessere e la moltiplicazione dei topi sono fornite da una giovane donna. Alle istruzioni sulla costruzione delle gabbie e la pulizia seguono quelle sull’alimentazione più adatta. Il film crea un’atmosfera di salubre e familiare benessere, di cui godono sia i topi che i loro padroni. Le gabbie dell’allevamento sono collocate nell’ambiente più sano, ossia all’aperto, imbibito in un giallo piacevole e solare. Le didascalie didattiche sono contraddistinte da un’imbibizione verde, mentre gli interni esibiscono una sfumatura rosso chiaro.
Se da un lato il pubblico può apprezzare le competenti cure e l’alimentazione che la premurosa giovane fornisce ai topini, dall’altro il film suggerisce nuove opportunità e l’inizio di un nuovo cammino ricco di speranze. È senz’altro possibile che i cineasti cercassero di proiettare sui topi tutti quei fattori di cui la traumatizzata popolazione della Germania postbellica aveva un disperato bisogno: un’alimentazione decorosa, salute, una certa prosperità, la possibilità di generare e allevare i figli, e di conseguenza la ripresa della crescita della popolazione. Indicando questa catena di concetti chiave, costitutivi di un futuro migliore, il film esorta gli spettatori del dopoguerra a cogliere le proprie opportunità.

Anke Mebold

POLIZEIBERICHT ÜBERFALL [Verbale di polizia: aggressione] (DE 1929)
regia/dir: Ernö Metzner. scen: Ernö Metzner, Grace Chiang. photog: Eduard von Borsody. cast: Heinrich Gotho, Eva-Schmid-Kayser, Alfred Loretto, Hans Ruys, Sybille Schmitz, Rudolf Hilberg, Heinrich Fakoni, Kurt Gerron, Hans G. Casparius, Gustav Püttjer. prod: Deutscher Werkfilm. v.c./censor date:  13.04.1929, 30.05.1929. copia/copy: 35mm, 422 m., 23′ (16 fps); did./titles: GER. fonte/source: Deutsche Kinemathek, Berlin.
Inserito nel 1995 in un’importante raccolta di film dell’avanguardia storica, Polizeibericht Überfall, cortometraggio di 22 minuti girato da Ernö Metzner, non fu proiettato in Germania all’epoca della sua realizzazione. Nel 1929 la commissione di censura di Berlino lo definì “film criminale” e lo vietò per il suo “effetto brutale e demoralizzante”. La rivista cinematografica d’avanguardia britannica Close Up giudicò “incomprensibile” il divieto del censore tedesco e pubblicò il testo integrale della decisione, secondo cui “il film potrebbe indurre qualcuno a commettere reati”. Metzner, regista austro-ungherese che prima di questa pellicola aveva realizzato due film di propaganda per il partito socialdemocratico, reagì al divieto affermando che oggetto della sua opera non era la criminalità, bensì la pervasiva paura che aveva attanagliato la società tedesca negli anni del tramonto della repubblica di Weimar, quando il traumatico crollo dell’economia mise a repentaglio le basi materiali della vita quotidiana.
Il film coglie il ruolo centrale del denaro fin dalle prime inquadrature, fissando l’attenzione su una moneta che giace per terra in mezzo alla strada. Un pedone è investito da un’automobile mentre cerca di raccattarla, ma un altro misero passante la raccoglie e cerca di scambiarla con qualche sigaretta; si scopre però che la moneta è falsa. Imperterrito, l’innominato protagonista la usa per giocare d’azzardo e vince una grossa somma. Uscito dalla bisca è inseguito da un delinquente che vorrebbe rapinarlo; si rifugia nell’appartamento di una prostituta ma viene derubato dal protettore di lei. Scaraventato in mezzo alla strada, è aggredito dal bruto, rimasto in agguato, che lo colpisce alla testa: il malcapitato precipita così in un vortice di molteplici flashback, in cui rivede lo scambio e la circolazione senza fine delle monete. Benché il film condivida la cruda e realistica ambientazione urbana con i film di strada dell’epoca di Weimar, la prolungata sequenza di questo sogno allucinato lo avvicina piuttosto al film d’avanguardia di Hans Richter Inflation (1928), che cerca anch’esso di visualizzare il potere irrazionale del denaro tramite distorsioni surreali e doppie esposizioni del corpo umano, utilizzando specchi e obiettivi prismatici per rendere l’insensata riproduzione del denaro.
Polizeibericht Überfall si conclude con la domanda che si legge sull’ultima didascalia: “Chi è il colpevole del reato?” La riposta viene da un primo piano della moneta che gira rapida su se stessa al centro dell’inquadratura. È proprio la moneta – ossia l’economia capitalistica – la responsabile del crimine, dell’avidità e della mercificazione di ogni cosa. Il film utilizza la propria trama per riflettere sul nesso tra capitalismo, gioco d’azzardo, prostituzione e crimine come significanti della modernità. Lascia anche intendere che la resistenza sia inutile: la moneta falsa torna in mezzo alla strada e un altro ciclo ricomincerà. Riprendendo gli obiettivi didattici del genere del Kulturfilm, questo cortometraggio si presenta come un saggio che cerca di chiarire agli spettatori le cause più profonde della questione sociale, relative non solo alla repubblica di Weimar ma al sistema capitalistico in quanto tale e alla sua aggressione all’esistenza umana.

Anton Kaes

MARKT IN BERLIN [Mercato a Berlino] (DE 1929)

regia/dir, scen, photog, mont/ed: Wilfried Basse. prod: Basse-Film GmbH. uscita/rel: 10.11.1929. copia/copy: 35mm, 413 m., 15′ (24 fps); did./titles: GER. fonte/source: Deutsche Kinemathek, Berlin.
Questo documentario sperimentale inizia con una didascalia: “La grande città di Berlino non è dominata solamente dal ritmo e dal traffico; anche nella febbrile frenesia dei quartieri occidentali di Berlino c’è spazio per una vita idilliaca come quella di una cittadina.” Proiettato per la prima volta nel novembre 1929, due anni dopo Berlin. Die Sinfonie der Großstadt, il famoso lungometraggio documentaristico di Walter Ruttmann, questo cortometraggio corregge in qualche modo l’ampia visione della metropoli “del ritmo e del traffico” delineata da Ruttmann. Markt in Berlin è dedicato a una singola piazza dove si tiene un mercato settimanale di generi alimentari, che per mezza giornata riunisce città e campagna, venditori e acquirenti, vecchi e giovani, ricchi e poveri: un microcosmo sociale di gente comune che interagisce e si scambia merci e denaro. In mezzo al mercato, un poliziotto sorveglia l’ordinata circolazione della folla anonima.
Valendosi della più avanzata tecnologia ottica, Basse utilizza la fotografia time-lapse per comprimere i tempi dell’allestimento del mercato nelle prime ore del mattino, e un rapido montaggio per abbreviare le pulizie del pomeriggio. Dapprima vuota, Wittenbergplatz si risveglia alla vita per poche ore e ritorna alla quiete consueta non appena l’attività si conclude. Riprese effettuate da molto in alto rimpiccioliscono il mercato, ritraendolo come un set cinematografico, montato all’inizio e smontato alla fine. Per rendere le attività del mercato viene impiegata una macchina a mano che è costantemente in movimento, effettua panoramiche, si inclina, va alla ricerca di volti, mani, sguardi e gesti, spesso filmati in primo piano. Quest’estetica degli incontri casuali, delle transazioni effimere e delle coincidenze, dei momenti imprevisti ma rivelator  — tutto ciò che Kracauer chiamava “il flusso della vita” — riecheggia la fotografia di strada, e fu resa possibile da una nuova cinepresa compatta, la Kinamo, la più piccola e più maneggevole macchina da presa allora disponibile. La Kinamo funzionava a molla e conteneva solo cassette da 25 metri, per un minuto di film e sequenze di una lunghezza media di sette metri (tre – cinque secondi). Mescolandosi ai clienti del mercato, sballottata nella calca, spesso con la visuale bloccata, la Kinamo osservava e registrava la vita nel suo svolgersi, senza nessun copione. Era dotata di un nuovo obiettivo luminoso, lo Zeiss Sonnar 1.4, le cui avanzate caratteristiche tecniche indussero Basse a dedicargli un cortometraggio sperimentale, Mit Optik 1.4, che a quanto sembra mostrò a Dziga Vertov quando questi visitò Berlino nel 1931.
Markt in Berlin fu proiettato per la prima volta – insieme al breve documentario De Brug di Joris Ivens, girato anch’esso con una Kinamo – nel novembre 1929, nell’ambito dell’esposizione internazionale Film und Foto (FIFO) di Stoccarda, che presentava le più recenti acquisizioni del cinema e della fotografia a livello mondiale. Organizzata dal Deutscher Werkbund (Associazione degli artigiani tedeschi) con la partecipazione di Lázló Moholy-Nagy, Hans Richter e Sigfried Giedion, l’esposizione intendeva promuovere il cosiddetto Neues Sehen (nuova visione), fondato sull’idea che un obiettivo meccanico avrebbe rivelato aspetti della realtà invisibili all’occhio umano. Con le sue prospettive vertiginose, l’amplificazione dei dettagli e la manipolazione del tempo e dello spazio, Markt in Berlin è un ottimo esempio di questa nuova scuola della percezione mediata dalla tecnologia.
Appena un mese dopo la proiezione di quest’esperimento di Neues Sehen, fu approvata una nuova, più lunga versione in forma di Kulturfilm, recante 22 didascalie didattiche e intitolata Wochenmarkt am Wittenbergplatz (Il mercato settimanale di Wittenbergplatz), che fu utilizzata da allora in poi in quanto l’inserimento di un Kulturfilm certificato comportava una riduzione della tassa sugli spettacoli di intrattenimento pagata dalle sale cinematografiche.

Anton Kaes

BLUTMAI 1929 (Kampfmai 1929) [Maggio di sangue 1929] (DE 1929)

regia/dir: Phil Jutzi. photog: Phil Jutzi, Erich Heintze. prod: Willy Münzenberg/Filmkartell “Weltfilm” GmbH. copia/copy: 35mm, 222 m., 9′ (22 fps); did./titles: GER. fonte/source: Deutsche Kinemathek, Berlin.
Blutmai 1929 (noto anche con il titolo Kampfmai 1929 o, in una versione più lunga, 1. Mai – Weltfeiertag der Arbeiterklasse [Primo maggio: la festa mondiale della classe operaia]) è un breve documentario dedicato alle sanguinose dimostrazioni del 1° maggio 1929 a Berlino, quando la polizia si scontrò con i manifestanti comunisti che avevano sfidato il divieto imposto alle riunioni pubbliche. In tre giorni di disordini, 33 civili furono uccisi dalla polizia; i feriti furono 200, e migliaia gli arrestati. I comunisti addebitarono al capo della polizia (un socialdemocratico), la responsabilità del tragico esito, che aggravò in maniera irreparabile la frattura tra i due partiti dei lavoratori, la SPD e la KPD, dividendo e indebolendo l’opposizione della sinistra all’ascesa al potere dei nazisti.
Questo documentario agit-prop segue i canoni di quella che Sergei Tretyakov chiamava “arte operativa”, in cui cinema e fotografia non cercano di riprodurre una sfuggente realtà oggettiva, ma intendono piuttosto proporre una tesi di parte. I metodi propagandistici del cinema sovietico venivano instancabilmente promossi dall’influente gruppo mediatico comunista di Willy Münzenberg, cui appartenevano l’Arbeiter Illustrierte Zeitung, un quotidiano tabloid destinato ai lavoratori socialisti, e la Prometheus, una casa cinematografica di produzione e distribuzione, di matrice proletaria, assai prospera dopo il sensazionale successo ottenuto in Germania nel 1926 da Bronenosec Potëmkin di Sergei Eisenstein.
Apparteneva a questo gruppo Phil Jutzi, che preparava i film sovietici per la distribuzione in Germania e lavorava come operatore nelle coproduzioni tedesco-sovietiche. Già nel 1929 si impose come principale regista di film proletari, con il semidocumentario Um’s tägliche Brot (Fame a Waldenburg) e il lungometraggio a soggetto Mutter Krausens Fahrt ins Glück. A Jutzi si deve anche il documentario Blutmai 1929, cui parteciparono numerosi operatori appostati sui tetti e dietro le finestre nei quartieri comunisti di Berlino, ove erano ampiamente attesi scontri di strada e violenze da parte della polizia. Jutzi montò le riprese aggiungendo didascalie esplicative e una conclusione narrativa, con i funerali dei compagni caduti e un’apparizione del segretario della KPD Ernst Thälmann.
Blutmai 1929 utilizza gli strumenti stilistici dell’avanguardia cinematografica russa e tedesca. Seguendo le indicazioni del cine-occhio di Vertov, rinuncia ad attori convenzionali, alla sceneggiatura e a una prospettiva unificante. La mobilità della macchina a mano produce invece immagini instabili e nervose, colte da prospettive radicalmente differenti, che in un momento ci tuffano al centro dell’azione, e subito dopo ci innalzano in una panoramica al di sopra del campo di battaglia. Nelle insolite angolazioni delle riprese dai tetti, i dimostranti che fuggono dalla polizia sembrano formiche che si sparpagliano frenetiche in tutte le direzioni. I bruschi cambi di prospettiva e angolatura suggeriscono l’idea di un’azione troppo volatile e incontrollabile perché sia possibile catturarla nella sua interezza, neppure con una molteplicità di cineprese. I primi piani di poliziotti in elmetto che picchiano civili disarmati sono la prova non tanto di singole aggressioni violente, quanto dell’inconciliabile antagonismo tra nemici mortali. Anche l’inserimento di slogan e titoli di giornale serve a coinvolgere intellettualmente gli spettatori e a inquadrare in una prospettiva critica il modo in cui gli avvenimenti venivano riferiti dalla stampa tradizionale. L’ultima didascalia, “In piedi, dannati della terra”, riprende il primo verso dell’Internazionale e vuol essere una chiamata alle armi. Deluso dal partito comunista, Jutzi aderì alla NSDAP nel 1933, e morì in povertà nel 1945.

Anton Kaes

ZEITPROBLEME. WIE DER ARBEITER WOHNT [Problemi contemporanei: come vive il lavoratore] (DE 1930)

regia/dir: Slatan Dudow. collab: Phil Jutzi. photog: Walter Hrich. prod: Willy Münzenberg/Filmkartell “Weltfilm” GmbH. v.c./censor date: 19.08.1930. copia/copy: 35mm, 337 m., 16′ (18 fps); did./titles: GER. fonte/source: Deutsche Kinemathek, Berlin.
Nel 1930, quando realizzò questo cortometraggio sui problemi abitativi che affliggevano allora la classe operaia berlinese, Slatan Dudow aveva 27 anni. Nato in Bulgaria, nel 1922 si era trasferito a Berlino, ove entrò a far parte del vivace mondo dei teatri di sinistra, collaborando con Erwin Piscator e Bertolt Brecht. Zeitprobleme, che segnò l’esordio cinematografico di Dudow, doveva essere il primo episodio di una serie – pianificata ma non realizzata – di brevi documentari sulla classe operaia berlinese, concepita per rispondere ai tradizionali cinegiornali Ufa che ignoravano sistematicamente il proletariato. Il film di Dudow fu prodotto da Kartell Weltfilm, casa specializzata nella produzione e distribuzione non commerciale di film di propaganda rivoluzionaria e proletaria, destinati alle riunioni e alle campagne della KPD. Fondata nel 1928, la Weltfilm faceva parte di una complessa rete di mass media proletari (il cosiddetto Münzenberg Trust) che promosse anche l’importazione dei film di Eisenstein, Pudovkin e Vertov. Dudow, che nel 1929 aveva visitato Mosca, realizzò il suo cortometraggio in “stile russo”, utilizzando giustapposizioni e forti contrasti per diffondere la coscienza di classe.
La prima didascalia garantisce al pubblico l’autenticità del film, spiegando che esso è emerso da quella miseria abitativa che condanna i lavoratori e i loro bambini a vivere in cantine umide e buie, notoriamente un terreno di coltura per la tubercolosi. La cinepresa documenta con immagini realistiche vari aspetti della vita del proletariato, dall’ufficio del lavoro ai giochi dei bambini con l’acqua. Benché il film cerchi di cogliere il milieu ricorrendo a frequenti panoramiche e inquadrature oblique, non mancano notevoli momenti contemplativi, in cui Dudow presenta inquietanti ritratti di lavoratori e di bambini. Queste immagini riecheggiano le fotografie di gente comune di August Sanders ed esemplificano pure il genere di fotografia proletaria promossa, all’incirca nello stesso periodo, dalla rivista Der Arbeiter-Fotograf. I vari episodi, collegati per mezzo di didascalie, rappresentano per lo più variazioni di un confronto statico tra l’ostentazione della ricchezza e una povertà inenarrabile.
Solo verso la fine emerge l’ossatura di una trama costruita: la famiglia di un giovane disoccupato viene sfrattata perché non riesce a pagare l’affitto. Il padre cerca di bloccare lo sfratto ma i poliziotti lo portano via. Il montaggio alterna le immagini della famiglia sofferente a quelle della faccia sorridente di un ricco proprietario di immobili, ripresa in un primo piano disumanizzante. Tra le due parti non c’è dialogo, né vicinanza spaziale o temporale, ma solo ostilità e disprezzo reciproci, sottolineati dalla crudezza del montaggio incrociato. Negli ultimi minuti del film, in una sequenza serrata, i resti del mobilio fracassato si accumulano, ad accentuare la disumanità meccanica dello sfratto. L’ultima didascalia dichiara: “Questa non è una soluzione”. Il film voleva quindi stimolare una discussione su questioni ben più ampie della vicenda particolare. Lo stesso Dudow indicò una soluzione nel suo film successivo, Kuhle Wampe oder wem gehört die Welt (1932), un lungometraggio sperimentale sceneggiato da Bertolt Brecht, che si ispirava ai principi del teatro epico e divenne un modello per Jean-Luc Godard e il cinema politico degli anni Sessanta.

Anton Kaes

ZWEI WELTEN [Due mondi] (DE 1930)
regia/dir: Werner Hochbaum. scen: Heinrich Braune. photog: Gustav Berger. prod: Werner Hochbaum Filmproduktion GmbH. v.c./censor date: 27.08.1930. copia/copy: 35mm, 437 m., 21′ (18 fps); did./titles: GER. fonte/source: Bundesarchiv-Filmarchiv, Berlin.
Zwei Welten è un cortometraggio di propaganda elettorale commissionato dal partito socialdemocratico per le fondamentali elezioni politiche del 14 settembre 1930, che retrospettivamente segnarono il destino della repubblica di Weimar. L’aggravarsi della situazione economica e l’instabilità del governo giovarono al partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi (NSDAP) che aumentò il numero dei seggi al Reichstag da 12 a 107, mentre il partito comunista (KPD) ne guadagnò 23 e divenne il terzo partito con 77 seggi. La SPD ne perse 10, ma rimase il maggior partito, con 143 seggi.
In questo cortometraggio, che fu approvato dalla commissione di censura appena tre settimane prima delle elezioni, la SPD si presenta come alternativa socialista al capitalismo oltre che al fascismo – benché la KPD accusasse la SPD di “socialfascismo”. La SPD berlinese usurpa la radicale visione binaria propugnata dalla KPD, secondo la quale esistono due mondi: la classe agiata facoltosa ed elegante dei quartieri meridionali di Berlino, e i miseri ceti operai di quelli settentrionali: disoccupati, demoralizzati e rappresentati come vittime dell’altra classe. Il film utilizza il montaggio parallelo alla maniera del dramma sui contrasti fra classi sociali di D.W. Griffith A Corner in Wheat (1909), in cui l’avidità di un industriale che cerca di monopolizzare il mercato del grano è giustapposta alla tragica situazione degli agricoltori, che non possono più permettersi di acquistare il pane. I tropi contrastanti del privilegio e della povertà erano popolari nel cinema sovietico, e furono espressi con la massima evidenza grafica in Das Dokument von Shanghai (Il documento di Shanghai) di Yakov Bliokh, che fu montato da Albrecht Viktor Blum (si veda il suo Wasser und Wogen nel programma 1) e venne proiettato in Germania nel 1928. Qui il montaggio parallelo contrappone crudamente il duro lavoro degli indigeni privi di diritti all’ozio decadente delle élite europee e cinesi.
Analogamente Werner Hochbaum, cineasta amburghese collegato alla SPD, usa il montaggio incrociato tra le immagini delle classi ricche che, all’aperto, giocano a tennis e a golf e quelle dei proletari disoccupati relegati in abitazioni umide e sovraffollate. Il rapporto fra questi due mondi separati è istituito dal montaggio parallelo, basato sul contrasto e l’opposizione. La differenza non viene spiegata tramite una narrazione di causa e radici storiche: il film si limita a presentare caricature immutabili delle due parti. Quest’approccio astorico consente a Hochbaum di prelevare intere sequenze dedicate al proletariato dal suo primo lungometraggio Brüder (Fratelli) del 1929, per riutilizzarle ad altri fini in questo cortometraggio elettorale (benché anche in Brüder, che contrappone un fratello rivoluzionario all’altro che fa il poliziotto, sia possibile cogliere un’analoga predilezione per gli schemi binari, la sua trama contiene sfumature e ambiguità).
Zwei Welten utilizza uno stile cinematografico ibrido che alterna riprese documentaristiche del milieu proletario a sequenze ricostruite che rappresentano la classe agiata; tutto questo culmina in passaggi nei quali il film si rivolge direttamente allo spettatore. Il punto più notevole è la scena satirica in cui un industriale indossa un bracciale con la svastica sopra l’uniforme militare, e si pavoneggia di fronte all’amante. Dopo l’incendiaria didascalia dedicata ai capitalisti – “Conoscono un solo dio: il profitto. E vogliono sacrificarvi a lui!” — un indice è puntato direttamente sullo spettatore: “Decidete tutti fra dittatura e democrazia!” Le promesse di lavoro e di un futuro felice sono illustrate da sequenze di repertorio di ciminiere, lavori agricoli, alloggi moderni e scolaresche. Dopo una pioggia di schede elettorali compare l’ultima didascalia: “Votate per i socialdemocratici”. Meno di tre anni dopo i nazisti misero al bando sia la KPD che la SPD.

Anton Kaes

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