La collezione Hans Berge

La collezione Hans Berge

La collezione Hans Berge rappresenta una parte cospicua della collezione di nitrati conservata nell’archivio cinematografico della Nasjonalbiblioteket norvegese. I rulli più antichi della collezione risalgono agli albori dell’industria cinematografica norvegese, quando il medium muoveva i primi passi. La collezione raccoglie cortometraggi di contenuto informativo, cinegiornali, pellicole didattiche, travelogue, ecc. Molti film contengono scene girate in Norvegia, in località distribuite da nord a sud: vediamo, in un ampio ventaglio di temi, paesaggi, industrie, festività e altri soggetti di interesse generale.
Ben poco è stato scritto su Hans Berge (1877-1934) e sul suo contributo alla storia del cinema norvegese. Non perché tale contributo sia privo di interesse; al contrario, la sua collezione contiene testimonianze uniche di eventi di grande o modesta importanza, relativi soprattutto alla Norvegia. Probabilmente il suo lavoro ha lasciato scarse tracce perché gran parte dei documenti è andata perduta.
A quanto sembra, Hans Berge era un viaggiatore. Con la sua cinepresa vagò per la Norvegia ma si spinse anche a occidente attraversando l’Atlantico. Agli inizi della sua carriera visse per un paio d’anni negli Stati Uniti, poi si stabilì nuovamente in Norvegia, ma ritornò varie volte oltre Atlantico e nel 1915 con i suoi film rappresentò la Norvegia all’esposizione internazionale Panama-Pacifico di San Francisco. In seguito si recò negli Stati americani in cui esistevano grandi comunità norvegesi, proiettando i propri film e tenendo conferenze. Descrisse i viaggi in California in un’intervista concessa a una rivista cinematografica norvegese e nel 1923 i suoi film rappresentarono la Norvegia all’esposizione mondiale di Rio de Janeiro.
Abbiamo scelto di proiettare una selezione di travelogue internazionali tratti dalla collezione Hans Berge in un programma che si estenderà sull’arco di due anni: sei cortometraggi nel 2022 e molto probabilmente altri sei nel 2023. I film di quest’anno ci porteranno in Giappone, Marocco, Nuova Zelanda, Portogallo e Venezuela.
La collezione contiene film girati in ogni angolo della Terra; si sarebbe tentati di affermare che seguiremo “le orme di Berge”, ma non ci sono indizi che Berge abbia effettivamente visitato tutti questi luoghi e vi abbia girato dei film. Come sono finiti allora nella collezione Berge? È probabile che durante i suoi viaggi in America egli li abbia acquistati o scambiati con i film che aveva girato in Norvegia. Fra i travelogue della collezione figurano film sicuramente realizzati da noti operatori quali Burton Holmes, assai popolari in Norvegia all’inizio degli anni Venti, come testimoniano i documenti della censura norvegese, che solo nell’estate del 1920 elencano almeno 15 travelogue di Burton in uscita nazionale. Si tratta sempre di film di viaggio Paramount-Burton Holmes, per lo più distribuiti in Norvegia dalla Kommunernes Filmsentral. È difficile stabilire con certezza se siano stati portati in Norvegia da Berge o dallo stesso Holmes durante le sue visite in Europa, benché una combinazione dei due scenari sia concepibile.
I film stranieri della collezione Berge sono in gran parte travelogue, e non sorprende che un certo numero di essi dimostri una classica mentalità colonialista. Benché le didascalie della versione distribuita in Norvegia, tradotte dalle lingue originali, abbiano spesso una patina didattica, si coglie in esse uno sguardo palesemente occidentale, che comunica un senso di superiorità o di semplice stupore di fronte al modo in cui si comporta “l’altro”. Le potenze coloniali sono glorificate tramite le immagini e le didascalie, e l’esoticizzazione delle altre culture si esprime attraverso un tono di aperta condiscendenza. Anche nei film che non sembrano esplicitamente diretti a influenzare gli atteggiamenti degli spettatori, contenuto, ambientazione e struttura servono inevitabilmente a confermare gli atteggiamenti già presenti nell’opinione pubblica.
Come nel caso di molti altri paesi, l’ampia distribuzione di travelogue stranieri in Norvegia testimonia di un’intensa curiosità per il mondo esterno; tra la fine degli anni Dieci e l’inizio degli anni Venti del secolo scorso sui quotidiani locali sono frequentissimi gli annunci pubblicitari di travelogue. Per varie ragioni, è tuttavia assai arduo reperire prove che chiariscano il contesto nel quale questi film venivano proiettati in Norvegia. I documenti della censura cinematografica sono incompleti, e prima del 1913 nel paese le attualità non erano sottoposte a censura. Pertanto non possiamo dire con certezza se o quando sia stato proiettato un film realizzato prima del 1913. Tale verifica sarebbe possibile per produzioni successive, ma in molti casi i film ci sono pervenuti in forma frammentaria e di solito manca la prima parte, ossia l’elemento essenziale che ci fornirebbe il titolo esatto e il visto di censura. È inoltre possibile che questi cortometraggi siano stati presentati, non identificati, all’interno di un programma più ampio, benché in qualche caso siano rintracciabili nei listini di film didattici norvegesi.
Sulla scia delle esperienze maturate negli Stati Uniti, Berge fu uno dei primi fautori dell’uso del cinema in classe. Quando le scuole norvegesi iniziarono a impiegare in maniera più sistematica i film come strumenti didattici era ormai iniziata l’epoca del sonoro, ma i film muti si utilizzavano ancora come materiale didattico di sostegno. Per molti dei travelogue della collezione Berge possiamo dunque aggiungere un altro contesto: essi sarebbero comparsi, successivamente, negli elenchi dei titoli appartenenti ai fondi scolastici depositati nel 1953 presso la Lilleborg Skole di Oslo. Benché nella documentazione esistente spesso manchino le prove di proiezioni effettuate in questo periodo più recente, è possibile che continuassero a circolare.
Hans Berge non fu solo un cineasta: possedeva anche una sua casa di produzione, la Framfilm, fondata nel 1913, che realizzava anche film su ordinazione. Dai documenti della censura norvegese emerge che la Framfilm e Berge collaboravano con distributori tradizionali come la Kommunernes Filmsentral. Il fatto che Berge operasse in vari modi e in vari contesti è confermato anche dal materiale pubblicitario: come faceva negli Stati Uniti e altrove, Berge girava la Norvegia tenendo conferenze e proiettando sia film che diapositive.
Com’è avvenuto per tanto altro materiale dell’era del nitrato, dobbiamo aspettarci che nel corso degli anni cospicue parti dell’originale collezione di Berge siano andate perdute. A quanto sembra, inoltre, nel periodo dell’occupazione tedesca la collezione fu smembrata e conservata in diversi luoghi di Oslo. Non sappiamo se dopo la fine della seconda guerra mondiale il figlio di Hans Berge, Jan, sia riuscito a riunire tutto il materiale. È anche possibile che, mentre ricostituiva la collezione, Jan Berge vi abbia inserito singoli rulli appartenenti ad altre case di produzione o distribuzione, ma è difficile averne le prove. Sappiamo invece che negli anni Cinquanta egli avviò una causa legale, risoltasi infine a suo favore, per dimostrare i propri diritti su una grossa parte della collezione paterna. Dalla documentazione disponibile emerge che, purtroppo, a quel punto molti film erano stati accorciati, cosa che corrisponde allo stato attuale dei materiali, esaminati a 70 anni di distanza. Anche così la collezione conta centinaia di rulli, molti dei quali continuano a porre domande che ci stimolano a esplorare nuove prospettive e narrazioni alternative.

Tina Anckarman

 

Giappone/Japan

[JAPAN I FEST]
[Giappone in festa / Japan Festivals] (JP?, c.1914-16)

regia/dir: ?. copia/copy: DCP, 16ꞌ31ꞌꞌ, col. (da/from 35mm nitr., 276 m., imbibito/tinted); did./titles: NOR. fonte/source: Nasjonalbiblioteket, Oslo/Mo i  Rana.

I filmati giapponesi della collezione Hans Berge consistono di immagini estremamente rare, che non risulta siano sopravvissute in Giappone, circostanza che ne fa un’emozionante scoperta. Il film qui intitolato Japan i fest documenta tre cerimonie tenute a Kyoto a metà degli anni Dieci del secolo scorso durante l’era Taishō (1912-1926), ed è particolarmente interessante per le numerose scene del “Tayū dōchū”, una processione tradizionale e rigidamente formalizzata delle cortigiane di alto rango denominate “Tayū”, che si svolgeva a Kyoto nel quartiere di Shimabara.
La prima cerimonia è un rituale congiunto di sacerdoti buddisti e scintoisti, mentre la seconda è la processione Tayū dōchū a Shimabara, in cui ammiriamo le acconciature e i costumi caratteristici di queste celebri donne. Grazie alla presenza delle famose Tayū che parteciparono alla processione rituale fra il 1914 e il 1916, siamo in grado di restringere la data delle riprese a questi anni. La terza e ultima sequenza ci mostra la vivace festa del santuario portatile di Inari, la più importante festa annuale che si svolge presso il santuario scintoista Fushimi Inari Taisha.
La prima cerimonia sembra uno speciale evento commemorativo tenutosi in quell’anno, mentre le feste del Tayū dōchū e di Inari sono eventi primaverili annuali che si celebrano intorno al 22 aprile. Di recente il soggetto del filmato conservato al BFI National Archive con il titolo di Rice Festival in Kyoto (disponibile su You Tube) è stato identificato nel Tayū dōchū svoltosi a Shimabara la mattina del 22 aprile 1908, seguito, nel pomeriggio dello stesso giorno, dalla festa di Inari (le immagini furono girate dalla casa cinematografica di Kyoto Yokota Shōkai). Analogamente, il film distribuito in Norvegia con il titolo Japan i fest include cronologicamente prima il Tayū dōchū e poi la festa di Inari, ma mostra una fase diversa della festa rispetto al più antico materiale del BFI.

Mika Tomita

JAPAN OF TODAY (US 1918)
Post Travel Film No. 25
regia/dir, prod: Clyde E. Elliott. prod: Post Film Company. dist: Pathé Exchange. uscita/rel: 29.12.1918 (US). copia/copy: DCP, 10’22”, col. (da/from 35mm nitr., 215 m., imbibito/tinted); did./titles: NOR. fonte/source: Nasjonalbiblioteket, Oslo/Mo i Rana.

Nel giugno del 1918, la Pathé Exchange annunciava una nuova serie, Post Travel Pictures, prodotta da Clyde E. Elliott della Post Film Company e intelligentemente lanciata negli Stati Uniti attraverso giornali che pubblicizzavano ogni episodio come se fosse una loro autonoma produzione, tipo “The Philadelphia Inquirer Travel Series,” “The Age-Herald Travel Series,” ecc. Nel 1917 l’intrepido Elliott, ora meglio conosciuto come regista di Bring ’Em Back Alive (1933), cominciò a girare il mondo con un operatore non identificato per realizzare documentari di viaggio. Nel giugno del 1918 la Pathé iniziò  a distribuire la prima serie, costituita da 52 film da un rullo. Altre serie seguirono per terminare nel 1923, quando a curarne la distribuzione era la Chadwick Pictures Corporation. Il materiale sul Giappone contemporaneo fu presentato in due episodi consecutivi della serie “Post Travel”, il n. 25 e il n. 26, entrambi intitolati Japan of Today. Alle Giornate 2022 viene presentato il n. 25, che ci mostra l’animato viavai della vita quotidiana nel quartiere di Asakusa a Tokyo, con l’aggiunta di immagini di Nagasaki, Kamakura e Yokohama – città e zone tutte popolari presso i viaggiatori provenienti dall’Europa e dagli Stati Uniti. Il film inizia ad Asakusa Rokku (Via del Teatro), il distretto dove fu costruita la prima sala cinematografica del Giappone. È visibile un cartellone pubblicitario di Gōketsu miyabe kumatarō, interpretato da Matsunosuke Onoe e proiettato all’Asakusa Yuraku-kan dal 28 marzo al 6 aprile 1917: le riprese devono quindi essere state effettuate nel corso di quella settimana. Una conferma ci viene da un manifesto che sembra essere quello di The Perilous Swing, un episodio del serial con Helen Gibson The Hazards of Helen, presentato puntata dopo puntata all’Asakusa a partire dal gennaio 1917; l’episodio cui si riferisce il manifesto uscì in quel cinema il 25 marzo.
La scena dei bambini che praticano l’arte marziale del kendo fa parte probabilmente di un evento propedeutico, ossia della dimostrazione di un tipo di armatura per bambini delle scuole elementari comprendente una maschera provvista di un pomello a molla che, premuto, veniva spinto in alto. L’evento fu organizzato dall’Associazione per la promozione dell’istruzione e delle arti marziali giapponesi. L’Associazione, che aveva sede nei pressi del parco di Ueno, a circa 600 metri dall’Asakusa, iniziò le vendite di quest’armatura nel 1916.
Dopo le inquadrature del grande Budda, la sequenza presentata come “preghiera buddista” ritrae probabilmente una sfilata pubblicitaria della Hoshi Pharmaceutical Co., Ltd., come si evince dalla scritta che compare sugli abiti e sugli ombrelli dei partecipanti. È interessante notare che all’epoca la Hoshi Pharmaceutical, considerata “la prima impresa farmaceutica dell’Asia orientale”, iniziava a sviluppare vaccini e partecipava alla produzione nazionale di chinino e morfina.
Il carico del carbone a Nagasaki e i risciò di Yokohama erano soggetti molto popolari presso gli operatori dell’epoca: venivano spesso riprodotti sulle cartoline e si vedono anche nei film della Paper Print Collection della Library of Congress. Seguono scene di esercizi ginnici e giochi al parco Ueno, il santuario di Kameido Tenjin, il parco di Yokohama e inquadrature di scolari delle scuole elementari; poi il film ritorna all’Asakusa con i suoi addetti alla pubblicità del cinema e quindi passa al tempio di Sensōji. Tutte queste immagini sono preziosissime in quanto non risulta che esistano in Giappone.

Mika Tomita

 

Marocco/Morocco

[BILLEDER FRA MAROKKO] [Immagini dal Marocco/Pictures from Morocco] (FR?, c.1910)
regia/dir: ?. copia/copy: DCP, 3’31”, col. (da/from 35mm nitr., 70 m., pochoir/stencil-colour); did./titles: NOR. fonte/source: Nasjonalbiblioteket, Oslo/Mo i Rana.

Questo breve frammento anonimo appartiene a un film distribuito in Norvegia intorno al 1910; le sue origini – la produzione, l’autore e persino il paese – rimangono sconosciute. Consiste di dieci scene, i cui soggetti vanno dai paesaggi alle attività agricole, fino agli studi di individui. Le ultime due scene ci mostrano volti di giovani; come specificano le didascalie, si tratta di Chleuh (“non arabi”): il primo, che sembra posare dinanzi alla macchina da presa, ostenta sulla testa rasata un turbante di fili attorcigliati, mentre il secondo, dalle labbra carnose e dai capelli crespi, è definito “primitivo” dalla didascalia.
Queste immagini, risalenti all’inizio del ventesimo secolo, costituiscono un interessante documento storico ed etnografico realizzato all’epoca dell’espansione coloniale degli Stati europei, i cui viaggiatori andavano scoprendo regioni da colonizzare. Il film è un esempio di quanto ampiamente le immagini e gli stereotipi coloniali distorti tipici del periodo fossero diffusi, non necessariamente ad opera delle autorità coloniali, ma con un grado di assimilazione tale da indurre i viaggiatori europei a ripeterli pressoché all’infinito. Le didascalie definiscono Chleuh le persone ritratte e il film cerca di descriverle mostrando i luoghi e le usanze della loro vita. Si noti che una didascalia riferita a “mandrie di bovini” accompagna una scena in cui vediamo pecore e capre.
I campi lunghi ci mostrano paesaggi (un fiume, campi, pecore e capre al pascolo, capanne), mentre i primi piani indugiano sui volti, per attirare l’attenzione su tratti fisici giudicati esagerati. Questi frammenti superstiti sono ovviamente intrisi dei cliché e degli stereotipi allora in voga e rispecchiano lo sguardo coloniale od occidentale che si appropria dell’altro e lo imprigiona nel reame dell’esotismo. L’approccio è estremo e persino razzista, se dobbiamo giudicare dalla didascalia che, alla fine del film, parla di un “tipo primitivo”.
Se le origini del film non sono note, rimangono anonime anche le persone che vi compaiono. Nulla conferma che si tratti effettivamente dei Chleuh (o Shilha o anche Ishelhien) dell’Atlante. Gli Amazigh in Marocco si suddividono approssimativamente in tre gruppi: i Chleuh nell’Anti-Atlante (e nel Sous); gli Imazigh nel Medio Atlante; e i Rifiani nella regione del Rif. Inoltre, le usanze indicate nelle didascalie come tipiche di queste culture non hanno alcun nesso con i Chleuh, i quali (per fare un esempio) costruiscono case di legno e argilla e non vivono in capanne. Anche i dromedari (non “cammelli”: gli Africani parlano di dromedari, mentre i cammelli vivono nell’Asia centrale) si collegano più strettamente alle popolazioni nomadi.
Agli inizi del Novecento i viaggiatori stranieri avevano scarsissime occasioni di spingersi nelle montagne dell’Atlante, poiché allora l’entroterra del Marocco era difficile da raggiungere (le strade erano malamente tracciate e insicure). I paesaggi che vediamo nel film sono invece piatti, abitati da popolazioni arabofone piuttosto che parlanti Amazigh. Si tratta forse di popolazioni nomadi, insediate temporaneamente in capanne, in una pianura che sembra ricca di risorse naturali?
Al di là della sua ottica colonialista e razzista, il film presenta un motivo d’interesse. Vediamo l’abbigliamento delle persone di allora, uomini e donne; e i loro volti, ingranditi dalla macchina da presa, rivelano quanto fossero affascinati dal rivoluzionario congegno su cui fissano lo sguardo. La presenza femminile nel mondo esterno – nei campi, nei suk, davanti a una capanna – smentisce i cliché che volevano le donne relegate nel chiuso degli harem, e che erano saldamente radicati nell’immaginario orientalista dell’epoca.

Fadma Ait Mous

 

Nuova Zelanda/New Zealand

AMONG THE MĀORI OF NEW ZEALAND (Maorierne paa Ny Zeland)
(?, 1915-1917)
regia/dir, photog: Burton Holmes. prod: Burton Holmes, per/for Paramount.
copia/copy: DCP, 8’47”, col. (da/from 35mm nitr., 141 m., pochoir/stencil-colour); did./titles: NOR. fonte/source: Nasjonalbiblioteket, Oslo/Mo i Rana.

Questo notevole travelogue è un taonga (tesoro) prodotto da Burton Holmes per la Paramount; è stato preservato, a partire dal nitrato originale imbibito, dalla Nasjonalbiblioteket norvegese. Ngā Taonga Sound & Vision, l’archivio audiovisivo di Aotearoa/Nuova Zelanda, ha appreso con gioia della sua esistenza, in quanto esso costituisce una precoce e rarissima testimonianza della vita Māori, di grande significato per gli uri e i kaitiaki (discendenti e detentori delle conoscenze tradizionali) delle popolazioni e dei luoghi che compaiono nel filmato.
La prima parte è stata girata nei dintorni di Rotorua verso il 1917; vediamo il passaggio di alcune canoe waka in quello che sembra il lago Rotorua. In un antico luogo sacro sulle rive di questo lago, famoso per i geyser, si erge ancora a Ohinemutu la bella chiesa anglicana di St. Faith, nella terra della popolazione Ngāti Whakaue. Whakarewarewa, patria dei Tūhourangi Ngāti Wāhiao, rimane un caratteristico villaggio Māori ancora abitato, oltre che una rinomata attrazione turistica. A Whakarewarewa vediamo due gemelle, guide e concertiste, Georgina Te Rauoriwa (c.1880-1953) e sua sorella Eileen (c.1880-1968). Le scene successive comprendono esibizioni culturali appositamente allestite, tra cui powhiri (il benvenuto), haka (la danza rituale), e poi (canzoni eseguite di solito da donne, in cui il poi viene fatto oscillare con vari movimenti per accompagnare il canto).
La seconda parte del filmato era stata probabilmente girata in un momento precedente, nel 1915, da William Hopkins, in occasione della regata Ngaruawahia, la seconda più antica regata del paese, disputata per la prima volta nel 1896. Le persone che si esibiscono in questa sezione appartengono probabilmente alla locale iwi (tribù) Waikato-Tainui. In questo caso siamo ben distanti dall’originaria rappresentazione coloniale/etnografica dei Maōri; oggi per discendenti e i kaitiaki questo film rappresenta un taonga (tesoro) vivente e una testimonianza ancestrale di quel tempo. He taonga tuku iho – “un tesoro da tramandare”. – <mc>Sarah Davy, Paul Meredith</mc>
Riconosciamo che questo film descrive i tupuna, o antenati, Māori che hanno uri, o discendenti, viventi. Collaboriamo con Ngā Taonga Sound and Vision, l’archivio audiovisivo di Aotearoa/Nuova Zelanda, per restituire a tale istituzione copie del film.

Tina Anckarman

 

Portogallo/Portugal

LA FORÊT DE BUSSACO (Bussaco’s Park, Portugal) (US: On the Trail of the Iron Duke – The Forest of Bussaco-Portugal; GB: The National Estate of Bussaco, Portugal) (FR 1919)
FR: Pathé-Programme no. 19; US: Pathé Review No. 37; GB: Pathé Pictorial No. 89.
regia/dir: ?. prod: Pathé. uscita/rel: 09.05.1919 (Paris). copia/copy: DCP, 7’08”, col. (da/from 35mm nitr., 136 m., pochoir/stencil-colour); senza did./no titles. fonte/source: Nasjonalbiblioteket, Oslo/Mo i Rana.

La foresta nazionale di Buçaco (Bussaco) si trova nell’angolo nordorientale della Serra do Buçaco, a metà strada tra Lisbona e Porto. Nel settembre del 1810 fu teatro di una delle più importanti battaglie della guerra peninsulare: il duca di Wellington, al comando di un esercito anglo-portoghese, vi sconfisse le truppe di Napoleone comandate dal maresciallo Masséna. È una zona ricchissima, famosa per la biodiversità: le pendici meridionali sono ricoperte da un manto di sempreverdi tipico del clima mediterraneo, mentre quelle settentrionali, più temperate, ospitano foreste decidue.
Storicamente la zona apparteneva all’ordine dei Carmelitani Scalzi, comunità religiosa originaria di Ávila, in Spagna, che fece il suo ingresso in Portogallo nel 1581 e nel secolo successivo costruì il convento di Santa Cruz. Nel 1834, dopo lo scioglimento degli ordini religiosi, il convento fu soppresso e la zona divenne di proprietà reale; poco dopo vennero introdotte più di 250 varietà di flora, oltre a laghi, giardini e fontane. Nel 1888 il futuro re Carlo I (figlio della regina Maria Pia, la figlia più giovane del re d’Italia Vittorio Emanuele II) commissionò la costruzione di una residenza estiva e casino di caccia in stile neo-manuelino, usando come materiale da costruzione le pietre dell’antico convento; l’edificio venne portato a termine nel 1907, ma appena un anno dopo il re fu assassinato.  L’unica volta in cui vi risiedette un membro della famiglia reale portoghese fu nell’estate del 1910, quando re Emanuele II vi portò la sua amante, l’attrice francese Gaby Deslys, per un idillio romantico. Poco dopo, in seguito all’esilio della dinastia, il cuoco reale Paul Bergamin ottenne la concessione per trasformare la proprietà in un albergo (destinazione mantenuta ancor oggi). Il sito, che comprende il Buçaco Palace Hotel, i resti del convento e più di cento edifici sparsi nella foresta, è stato dichiarato monumento nazionale nel 2018. Un recente spot del gelato Magnum è stato girato qui.

Sofia Lavrador, Jay Weissberg

 

Venezuela

LA GUAIRA TO CARACAS / FROM LA GUAIRA TO CARACAS (Fra La Guaira til Caracas) [Da La Guaira a Caracas] (US 1918)
Post Travel Film No. 9
regia/dir, prod: Clyde E. Elliott. prod: Post Film Company. dist: Pathé Exchange. uscita/rel: 11.08.1918 (US). copia/copy: DCP, 9’18”, col. (da/from 35mm nitr., 165 m. [orig. l: 270 m.], imbibito/tinted); did./titles: NOR. fonte/source: Nasjonalbiblioteket, Oslo/Mo i  Rana.

La serie Post Travel Pictures di Clyde E. Elliott, di cui si è parlato più sopra a proposito di Japan of Today, fu iniziata nelle Indie Occidentali e in Sudamerica. Quando nell’estate del 1918 i film cominciarono ad essere distribuiti settimanalmente, sulla stampa apparvero settimanalmente articoli a firma Elliott che accompagnavano l’uscita dei singoli cortometraggi. “La ferrovia di Caracas costruita dagli Yankee” (Philadelphia Inquirer, 11.08.1918) contiene una dettagliata descrizione dei luoghi filmati, anche se la sua presentazione di La Guaira scoraggerebbe qualsiasi visitatore (è comunque meno offensiva del suo pezzo della domenica precedente, “Indiani del Venezuela arretrati e pigri”, 04.08.1918). Le riprese risalgono al 1917 e riguardano famose località e attrazioni venezuelane lungo la linea ferroviaria La Guaira-Caracas e sulla costa fra Macuto e Maiquetía. Ammiriamo le imbarcazioni nel porto di La Guaira; la Casa Guipuzcoana, a tre piani, risalente agli inizi del diciottesimo secolo, poi trasformata nell’ufficio doganale del porto; la spiaggia di Macuto con le pendici delle Ande e il casinò sullo fondo; le piazze di Lourdes e Jerusalén a Maiquetía; le stazioni ferroviarie di Maiquetía, El Rincón e Zig-Zag; e la vista sui Caraibi, forse dal Boquerón. C’è anche uno scorcio della città di Caracas con il Monte Ávila in distanza. Le riprese riguardano in gran parte binari, vagoni, locomotive o stazioni, oltre ad attrazioni turistiche. Nel cortometraggio, tuttavia, appaiono spesso anche persone comuni e lavoratori (portuali, mulattieri, venditori ambulanti, ferrovieri), uomini e donne, colti mentre sono impegnati nelle faccende quotidiane od osservano con stupita meraviglia la macchina da presa. Il film costituisce una rara testimonianza dell’abbigliamento e delle condizioni di lavoro e di vita sulla costa venezuelana agli inizi del ventesimo secolo.

Steinar Sæther

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