LONG FLIV THE KING (US 1926)
Regia di Leo McCarey
Non c’è da sorprendersi che il Motion Picture News del 12 dicembre 1926 abbia erroneamente ambientato l’azione di Long Fliv the King a Graustark invece che a Thermosa. Nel 1926 gli immaginari regni balcanici erano ormai diventati intercambiabili, e chi avrebbe mai notato che un recensore si era sbagliato di nazione? Hal Roach rivisita il paese di His Royal Slyness solo nominalmente in questa comica in due rulli con Charley Chase, plagiando un cruciale spunto narrativo da Seven Chances di Buster Keaton, uscito l’anno precedente: il Primo Ministro Hamir invia un telegramma alla principessa Helga di Thermosa, occupata a fare acquisti a New York, per informarla che suo zio, il re, è morto e che lei erediterà il trono a condizione di sposarsi entro ventiquattr’ore. Il suo piano è di convolare a nozze con lei in modo da diventare il nuovo re, ma la dama di compagnia di Helga le consiglia invece di sposare Charley Chase, giovane detenuto in attesa di essere impiccato il giorno dopo.
Il matrimonio è celebrato in prigione, ma proprio mentre la principessa se ne sta andando Chase viene rilasciato dopo la confessione da parte del vero colpevole. Nel tentativo di raggiungere la sua sposa Chase ingaggia un faccendiere ebreo, interpretato dall’irresistibile Max Davidson, e i due si recano a Thermosa appena in tempo per l’incoronazione. Chase deve così affrontare le temibili doti di spadaccino dell’astuto primo ministro per poter rivendicare la sua legittima consorte; come in molte parodie del cinema americano, il film si conclude con gli sposi novelli che dicono addio alla tormentata monarchia.
Wes D. Gehring è assai entusiasta del film nel suo libro Leo McCarey: From Marx to McCarthy (2004), sottolineando come McCarey abbia utilizzato più avanti gli stessi temi in Let’s Go Native (1930) e Duck Soup (1933), ed è vero che Thermosa e Freedonia potrebbero in effetti essere nazioni contigue. Il titolo del film e un nome proprio richiedono qualche spiegazione per il pubblico di oggi: “fliv” era un termine gergale che indicava un fiasco totale o qualcosa di poco valore, e il gioco di parole fra “live” and “fliv” è chiaro anche se grammaticalmente scorretto. Il personaggio di Chase chiama Davidson “Warfield” quando i due si incontrano per la prima volta, ma anche questo è uno scherzo perché Davidson, di etnia evidentemente ebraica, non potrebbe mai avere un nome del genere, generalmente collegato a ricche personalità anglosassoni di estrazione protestante. Va notato che gli spettatori non ebbero comunque bisogno di farsi spiegare perché Davidson non potesse mangiare la bistecca di prosciutto che gli è stata presentata a tavola.
Jay Weissberg
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LONG FLIV THE KING (US 1926)
regia/dir: Leo McCarey.
supvr. dir: F. Richard Jones.
scen: Charles Alphin.
titles: H.M. [Harley Marquis] Walker.
asst dir: H. W. Scott.
photog: Floyd Jackman.
mont/ed: Richard Currier. cast: Charley Chase (Charles Chase), Martha Sleeper (principessa/Princess Helga of Thermosa), Max Davidson (“Warfield”), Oliver Hardy (Aide-de-camp), Fred Malatesta (primo ministro/Prime Minister Hamir of Uvocado), [John Aasen (lo spadaccino gigante/the giant swordsman), Helen Gilmore (dama di corte/Helga’s lady-in-waiting), Lon Poff, Sammy Brooks].
prod: Hal Roach, Hal Roach Studios.
dist: Pathé Exchange.
uscita/rel: 13.06.1926.
copia/copy: DCP, 24’26” (da/from 35mm??, orig.l: 2 reels); did./titles: ENG??.
fonte/source: Lobster Films, Paris.