VOGLIA DI VIAGGIARE (1911-1939)
Musica di José María Serralde Ruiz
Ogni lingua possiede parole che colgono in maniera del tutto peculiare le implicazioni di una condizione psicologica; le cerchiamo nella nostra lingua e poi le troviamo, incisive e poetiche, in un’altra. Nei difficili giorni dell’isolamento imposto dal Covid ho cercato un modo per descrivere il mio desiderio di viaggiare, quella brama di saltare su un aereo e volare in posti che conosco e amo, ma anche in altri dove ancora non sono stato ma che mi attraggono per la loro bellezza o per qualche collegamento storico. Due termini affiorano alla mente: la parola tedesca “Sehnsucht,” prediletta dagli autori di Lieder e definita da C.S. Lewis come uno “struggimento inconsolabile”, e quella portoghese “saudade”, che aggiunge una sfumatura di nostalgia malinconica a un senso di perdita, di intensa privazione di qualcosa di indefinito. Poi, a maggio, ho visitato online l’Orphan Film Symposium e ho visto dei film di tema acquatico da cui si è concretizzato il desiderio di lasciare le mie quattro mura e andare all’avventura, in auto o in treno, su una nave o su un aereo.
Partendo da tali riflessioni, ho deciso di mettere insieme un programma di cortometraggi che potesse rispecchiare questo desiderio e questa necessità. Almeno dall’inizio del diciannovesimo secolo esiste in inglese l’espressione “armchair traveller” (viaggiatore in poltrona) per descrivere chi, seduto a casa propria, sfogliando libri di viaggio o guardando fotografie, o semplicemente usando la fantasia, immagina di trovarsi altrove. W. Somerset Maugham inizia il suo racconto “Honolulu” (1921) con le parole “Il viaggiatore saggio viaggia solo con l’immaginazione”, riecheggiando le memorie del conte Xavier de Maistre, Voyage autour de ma chambre (Viaggio attorno alla mia stanza, 1794), in cui l’autore, agli arresti domiciliari, trascorre i suoi 42 giorni di prigionia trasformando con l’immaginazione la propria stanza da letto in un paese straniero. L’espressione “armchair traveller” deriva probabilmente da quella francese “voyageur sédentaire” (letteralmente “viaggiatore sedentario”), che risale almeno all’epoca di Luigi XV, quando un “voyage sédentaire” è menzionato nell’atto unico Les Amours déguisés (1726) di Alain-René Lesage e Jacques-Philippe Orneval. Quest’opera teatrale è opportunamente ambientata a Citera, luogo natale di Venere e scenario di un’immaginazione culturale assai più vasta dell’effettivo spazio geografico dell’isola.
Non è una sorpresa trovare un’espressione ancor più poetica in arabo: مسافر زاده الخيال (Mousafer Zadoh Alkhayal), coniata da Mahmoud Hassan Ismael e ripresa in una famosa canzone di Mohamed Abd El Wahab, che si può approssimativamente tradurre “un viaggiatore che ha come unica provvista la propria immaginazione”. In questi tempi difficili, in cui molti di noi sono costretti a stare in casa, la provvista più importante è veramente la nostra immaginazione, e il principale catalizzatore dell’immaginazione è l’immagine in movimento. Ho illustrato la mia idea di un programma dedicato ai viaggi a diversi archivisti, che con empatia e generosità mi hanno inondato di splendide proposte. La selezione che ho compiuto rispecchia una concezione personale e non pretende di essere rappresentativa (se avessi cercato di essere rappresentativo, il programma durerebbe cinque ore). Ho seguito il principio di mostrare una combinazione di luoghi familiari e di posti meno noti, ma colti con immagini così suggestive da farci silenziosamente sospirare: “Vorrei essere lì adesso.” Ho volutamente evitato ciò che potrebbe essere inteso come “esotico”, poiché ciò scoperchierebbe un vaso di Pandora che è più saggio lasciare ad altri programmi. Si potrebbe obiettare che il film sul Cairo e Giza, Un Voyage au Caire, contraddice questa regola, e in effetti questo splendido incrocio tra un travelogue e un film sulla moda è innegabilmente esoticizzante, ma Il Cairo è una città molto vicina al mio cuore, uno dei luoghi verso cui più ho desiderato volare in questi ultimi otto mesi. Il Taj Mahal rimane sbalorditivo, ma non esotico per coloro che visitano l’Uttar Pradesh più volte all’anno; le lagune della Polinesia non sono esotiche per chi si reca abitualmente a Tahiti; e le piramidi, pur nella gloria della loro eterna imponenza, non sono esotiche ai miei occhi.
La voglia di viaggiare non dipende solo dal richiamo che esercitano su di noi nuove visioni e nuovi suoni; è dettata anche dal desiderio di ritornare nei luoghi che conosciamo e amiamo. Il viaggiatore esperto non si limita ad ammirare famose destinazioni turistiche; egli sente che i luoghi in cui giunge non gli appartengono, ma osa credere di poter essere a casa sua anche lì. Spero che questo programma riecheggi il vostro desiderio di fare le valigie e correr via, per andare a passeggio nelle strade familiari di altre città, sguazzare tra le onde delle vostre spiagge preferite o scivolare lungo canali ancora ignoti. Michel Robida scrisse una volta un bell’articolo sulle banderuole segnavento di Parigi (“Images de Paris. Girouettes. Les rêves tournent au gré des vents”, La Presse, 22.10.1934), la cui conclusione sintetizza perfettamente il senso di questo mio tentativo: “Un viaggio in poltrona – un viaggio della mente – è il viaggio più bello, perché è come vorremmo che fosse, perché non ci sono ostacoli e qualsiasi sogno ci è permesso.
Jay Weissberg
UN VOYAGE ABRACADABRANT (FR 1919)
regia/dir, sogg/story, anim: Henri Monier. prod: Pathé-Frères. uscita/rel: 1919. copia/copy: streaming digital file, 1’40” (da/from Pathé-Baby 9.5mm); did./titles: FRA. fonte/source: Cinémathèque française, Paris.
I viaggi immaginari hanno qualcosa di magico; dunque, il nostro programma non potrebbe avere un inizio migliore di Un voyage abracadabrant. In questo delizioso progenitore di Up della Pixar, Vendebout (un gioco di parole con “vent debout”, ossia vento contrario) e il suo amico Courandair (“courant d’air”, ossia corrente d’aria) inventano una casa volante che li trasporta nel deserto in un tempo assai più breve di quello necessario per leggerne in un libro di viaggi.
Regna una grande incertezza sull’identità dell’animatore Monier, che lavorava per la Pathé già nel 1912: il suo Le Grand Voyage de Marius appare nel cofanetto di DVD della Lobster Les Pionniers de l’animation. Non solo il suo nome di battesimo è scritto Henri o Henry, ma varia anche il cognome, ora Monnier ora Monier. Alcuni lo identificano con l’Henri Monier che collaborò come illustratore con varie riviste, tra cui Le Canard Enchaîné, ma a meno che la data di nascita del 1901 non sia errata (non può aver realizzato Le Grand Voyage de Marius a 11 anni di età) deve trattarsi di una persona diversa. Ad aumentare ancor più la confusione, un precedente Henry Monnier (1799-1877) era stato un caricaturista, attore e drammaturgo di fama.
Non possiamo neppure essere certi che il film fosse intitolato originariamente Le voyage abracadabrant; è possibile che sia giunto a noi con questo titolo perché tale è il testo della prima didascalia sopravvissuta. Il personaggio di Vendebout, chiamato anche Vent-Debout, fu, a quanto sembra, il protagonista di una propria serie, comprendente Le voyage de Vendebout e Vendebout chasseur; il nome di Courandair appare invece in tre titoli – Le rêve de l’aviateur Courandair, La dernière invention de l’ingénieur Courandair e L’Ingénieur Courandair dans la lune – a quanto pare, tutti distribuiti tra il 1920 e il 1921. “Jicky”, il critico di L’Éclair, non era un appassionato di film animati, ma fece un’eccezione per L’aviateur Courandair (che forse, ma non è sicuro, è un altro titolo di Le rêve de l’aviateur Courandair), che giudicò assai meno sciocco di Mutt e Jeff, e godibile anche per gli adulti (29.05.1920).
Jay Weissberg
[NEW-YORK] (SE 1911)
prod: Svenska Biografteatern. copia/copy: streaming digital file, 8’50” (da/from 35mm nitr. pos.); senza did./no intertitles. fonte/source: The Museum of Modern Art, New York.
La Statua della Libertà era stata inaugurata 25 anni prima del 1911, quando la Svenska Biografteatern puntò la propria cinepresa su New York. Il film che ne risultò, in splendide condizioni e magnificamente restaurato dal Museum of Modern Art, ci fa viaggiare insieme in un luogo e in un tempo particolare, un tempo che, come ci suggerisce la saggezza, non era “migliore” di quello attuale, anche se oggi le nostre emozioni potrebbero farci vedere le cose diversamente. Siamo di fronte a una città completamente moderna in un momento di trasformazione: vediamo mescolarsi carri trainati da cavalli e automobili, vediamo sorgere nuovi grattacieli – il Flatiron Building era stato completato da nove anni, mentre la costruzione del Woolworth Building era appena iniziata – e soprattutto vediamo la varietà degli abiti femminili, che rispecchiano non solo la classe sociale ma anche l’adesione a una moda proiettata verso il futuro, contrapposta all’arroccarsi in un deliberato tradizionalismo.
Il film si sposta dalle immagini di lavoratori e gitanti che giungono in vaporetto a Battery Park (non senza rivolgere un cenno alla statua dell’inventore svedese-americano John Ericsson) alle vedute di Lower Manhattan, con la sua animatissima rete di ponti grandiosi, tram e ferrovie sopraelevate. Dal Lower East Side, si stabilirono i miei antenati al loro arrivo in America, e da Chinatown passiamo al distretto del Flatiron e al Ladies’ Mile. Poi la nostra attenzione si concentra su un’automobile con chauffeur, identificabile, grazie alla targa, come la vettura, appena immatricolata, appartenente ad Antoinette Lochowicz. Vediamo la proprietaria, con il volto impassibile, sul sedile posteriore assieme ai figlioletti Elsie e Francis e a quella che deve sicuramente essere la domestica Mary Moriarty (l’autista afro-americano sembra l’unico che si diverte). Sul sedile anteriore, accanto all’autista troviamo Florian Lochowicz (lui e la moglie erano probabilmente cugini), il barbiere di J.P. Morgan e di altri magnati dell’industria, con la piccola Emily in grembo. Dopo la gita a Manhattan saranno probabilmente tornati alla loro bella casa in città, appena oltre Brooklyn’s Prospect Park, dove Antoinette morì nel 1956.
Questa è – o era? – la mia New York, immediatamente riconoscibile, dalla maestosa rete di cavi sul ponte di Brooklyn ai bianchi sbuffi di fumo dei tubi di vapore. E poi gli eleganti grandi negozi di Broadway, il rassicurante stile neogotico di Grace Church, il gigantesco campanile veneziano del Met Life Building. Come canta Alicia Keys, “Even if it ain’t all it seems, I got a pocketful of dreams. Baby I’m from New York” (Anche se non tutto è come sembra, ho una manciata di sogni in tasca. Sono di New York).
Jay Weissberg
PLANTY KRAKOWSKIE [Il parco Planty di Cracovia / Planty Park in Kraków] (PL 1929)
regia/dir: Szczęsny Mysłowicz. prod: Instytut Filmowy “Lumen”. uscita/rel: 1929. copia/copy: streaming digital file, col., 10′, incomp. (finale mancante/ending missing) (da/from 35mm, imbibito e virato/tinted & toned); did./titles: POL. fonte/source: Filmoteka Narodowa – Instytut Audiowizualny (FINA), Warszawa.
Benvenuti a Cracovia, inconfondibile meta turistica polacca, che da anni attira visitatori da tutto il mondo con la splendida architettura e l’atmosfera storica. Grazie all’opportunità concessa dall’edizione online di quest’anno, siamo lieti di presentarvi questo cortometraggio diretto nel 1929 da Szczęsny Mysłowicz (1890-1946), offrendovi uno sguardo virtuale sull’aspetto della città in epoca prebellica.
Questo film eccezionale è un estratto da un progetto in tre partiche Mysłowicz dedicò a Cracovia su commissione del consiglio comunale della città, in occasione dell’Esposizione generale polacca che si tenne dal 16 maggio al 30 settembre 1929 a Poznań. L’esposizione, organizzata per celebrare il decimo anniversario del ritorno della Polonia all’indipendenza, voleva presentare i risultati ottenuti dal paese dopo la ricostruzione.
Unitevi a noi per una passeggiata di nove minuti attraverso la città e il suo parco principale, il Planty, colto dall’occhio di Mysłowicz, fondatore dell’Istituto Cinematografico Lumen. A differenza di altre grandi città polacche, Cracovia non fu distrutta durante la seconda guerra mondiale, e Planty krakowskie vi offre la magnifica opportunità di sentirvi quasi come foste in città oggi.
Iga Harasimowicz, Anna Sienkiewicz-Rogowska
UN VOYAGE AU CAIRE (Nos vedettes à l’étranger) (FR 1928)
prod: Pathé-Revue. uscita/rel: 1928. copia/copy: streaming digital file, col., 3’25” (da/from 35mm, pochoir/stencil-colour); did./titles: FRA. fonte/source: Gaumont Pathé Archives, Saint-Ouen, Paris.
Il critico di L’Intransigeant (04.06.1928) deplorò che in questo film la coppia formata da Gabrielle Robinne (1886-1980) e René Alexandre (1885-1946) venga mostrata mentre si trova in albergo, come chiunque altro, ammira le piramidi, come chiunque altro, e cavalca un cammello, come chiunque altro. Egli apprezzò tuttavia l’uso del colore. È vero che Il Cairo, le piramidi e la sfinge sono sempre stati capisaldi di ogni travelogue, ma è ugualmente difficile credere che quello qui illustrato sia il tipo di viaggio che “chiunque altro” avrebbe potuto prenotare all’ufficio della Thomas Cook Tours sulla Fifth Avenue, che abbiamo visto nel film su New York.
Per cominciare, l’Heliopolis Palace Hotel, inaugurato nel 1910, era uno dei più grandi e lussuosi del mondo; la zona di servizio nel seminterrato era così vasta che vi fu installata una ferrovia a scartamento ridotto. Quando Mme. Robinne e sua figlia Colette (1918-2002) passeggiano negli ampi giardini dell’albergo in una giornata insolitamente ventosa, possiamo ammirare non solo un ambiente verde e lussureggiante, ma anche il vestito color malva di madame (forse una creazione della Maison Agnès, i cui capi, allora di gran moda, Robinne indossava come modella sulle pagine delle riviste dell’epoca?). Alle Piramidi, i nostri protagonisti scendono dalla loro Isotta Fraschini (un modello simile a quello posseduto da Norma Desmond in Viale del tramonto), e notiamo con ammirazione la giacca verde di Gabrielle, altrettanto pratica quando ella sale in groppa a un cammello e posa dinanzi alla Sfinge, attirando la nostra attenzione sul colletto di pelliccia e sulla bella cintura che cinge le pieghe e si intona all’elegante cappello.
Un voyage au Caire, catalogato come Nos vedettes à l’étranger, offre una classica visione orientaleggiante e turistica dell’Egitto, con un’attrattiva in più: è un film sulla moda. Robinne e Alexandre, vedettes della Comédie-Française e famosissimi presso il pubblico cinematografico degli anni Dieci, avevano già visitato Il Cairo almeno una volta, nel 1926, quando vi avevano interpretato con successo il dramma di Georges de Porto-Riche Amoureuse. La coppia era sicuramente a suo agio nella sofisticata atmosfera francofona e cosmopolita della città, la cui raffinata vita notturna si snodava in luoghi come il casinò Alhambra e il Café Riche; si mescolava alla vita mondana degli espatriati, ma socializzava anche con l’occidentalizzante élite cairota (non fatevi sfuggire il libro di imminente uscita Midnight in Cairo: The Divas of Egypt’s Roaring 20s di Raphael Cormack). Se guardate attentamente, riuscirete ancora a scorgere le tracce di questo passato nei resti fatiscenti del centro cittadino, dove qualche dettaglio Art Deco sopravvive fra le tempeste di polvere e l’incuria degli uomini. L’Heliopolis Palace Hotel è stato trasformato da Hosni Mubarak in residenza presidenziale, e oggi non è più un sontuoso luogo di ospitalità bensì il simbolo del brutale regime odierno, che suscita fra gli abitanti una paura tale da indurli a distogliere lo sguardo.
Jay Weissberg
TIEDEMANNS NATURFILM: OVER BESSEGGEN PÅ MOTORCYKKEL [I film Tiedemann sulla natura: Sulla cresta di Besseggen in moto / Tiedemann’s Nature Film: Over Besseggen by Motorcycle] (NO 1932)
prod: Wilse Film Co., per/for Tiedemanns Tobaksfabrik. v.c./censor date: 29.07.1932. copia/copy: streaming digital file, 3’40” (da/from 35mm); did./titles: NOR. fonte/source: Nasjonalbiblioteket, Oslo/Mo i Rana.
“Sì, o viaggiatore, se hai un animo devoto, pronto all’adorazione della natura, e un cuore sensibile ai suoi più possenti richiami, vieni e attraversa il Sógne-fjeld,” proclamava Emily Lowe nel suo libro di viaggi, pubblicato in forma anonima nel 1857, Unprotected Females in Norway; or, The Pleasantest Way of Travelling There, Passing through Denmark and Sweden (Viaggiatrici indifese in Norvegia, o il modo più piacevole di viaggiare lì, passando per la Danimarca e la Svezia). Insieme alla madre, ella percorse a piedi la zona situata immediatamente a ovest dei luoghi in cui fu girato Over Besseggen på motorcykkel; il paesaggio è però simile, e il senso quasi religioso di reverente stupore, di fronte a scenari tanto grandiosi, era probabilmente lo stesso.
I viaggiatori internazionali scoprirono effettivamente la cresta montuosa di Besseggen, protesa tra i laghi Gjende e Bessvatnet, negli anni successivi al resoconto di Emily Lowe; per i norvegesi essa rimane una delle destinazioni turistiche più popolari del paese, e attualmente National Geographic la pone tra i 20 migliori siti di escursionismo al mondo. Henrik Ibsen colloca qui una delle scene principali di Peer Gynt e così descrive la cresta: “Lunga quasi quattro miglia, si stende dinanzi a voi affilata come una falce”. E tale appare nel film, mentre il motociclista si avvicina compiendo spericolate acrobazie che fanno rimescolare lo stomaco. Ma che panorami! Gjendesheim, dove il film inizia, si trova nel punto più orientale del lago, circondato dalle montagne di Jotunheimen, ed è ancor oggi, pare, il rifugio montano più visitato a nord delle Alpi. James A. Lees e Walter J. Clutterbuck, autori del classico volume del 1882, Three in Norway (by Two of Them) (letteralmente, Tre in Norvegia scritto da due di loro), lamentarono la fastidiosa presenza nella zona della Metacnephia tredecimata – un simulide (ossia una specie di moscerino) tipico della zona di Gjende – la cui popolazione, peraltro, pare aver subito l’anno scorso una brusca diminuzione, suscitando timori per l’ecosistema.
Il film, un ibrido fra travelogue e cortometraggio promozionale sponsorizzato dalla Tiedemann Tobaksfabrik, fa parte di una serie di pellicole pubblicitarie per sigarette realizzate fra il 1929 e il 1937. Alle Giornate del 2019 ne abbiamo proiettato un altro esempio nella sezione sulla pubblicità commerciale. L’eccellente nota scritta per il catalogo da Tina Anckarman e Magnus Rosborn ricostruisce la storia di queste produzioni, ma qui vorrei soffermarmi sull’immagine finale del film, che mostra un pacchetto delle sigarette turche leggere “Medina” prodotte dalla Tiedemann. Il profilo di moschee e minareti disegnato sulla confezione rappresenta certo la quintessenza dell’orientalismo, ma offre anche – intenzionalmente – un ulteriore stimolo al viaggiatore in poltrona, spingendo la sua immaginazione verso terre esotiche e inducendolo a sogni d’avventura (sarà meglio, però, evitare di riprodurre le blasfeme pubblicità a stampa della Tiedemann).
Jay Weissberg
LA BELGIQUE PITTORESQUE / SCHILDERACHTIG BELGIE (series) (BE 1922-23?)
prod: Service Cinématographique de l’Armée belge (S.C.A.B.). copia/copy: streaming digital file, 13′, col.; did./titles: FRA, NLD. fonte/source: Cinémathèque Royale de Belgique / Koninklijk Belgisch Filmarchief, Brussels.
Il Service Cinématographique de l’Armée belge (l’Unità cinematografica dell’esercito belga), noto con la sigla S.C.A.B., fu istituito nel 1916 e oggi è conosciuto soprattutto per l’opera che svolse durante la prima guerra mondiale; proseguì tuttavia l’attività negli anni successivi, con cinegiornali e film promozionali come La Belgique Pittoresque / Schilderachtig Belgie. Si tratta di una serie di cortometraggi concepiti per illustrare le bellezze del paese, che senza dubbio dimostrano la rapidità con cui (almeno all’apparenza) il Belgio si era ripreso dalle ferite della guerra. Ciascun episodio inizia con un’immagine della carta del paese, e una bacchetta animata che sembra scaturire dalle profondità della Francia indica la zona illustrata nel film. Per questo programma abbiamo scelto due capitoli, dedicati a Ostende/Oostende (Ostenda) e Bruges/Brugge.
LE LITTORAL BELGE / DE BELGISCHE KUST: OSTEND/OOSTENDE
“La regina delle spiagge” e “La regina delle località balneari europee”: così era definita Ostenda quando figurava tra i più prestigiosi luoghi di ritrovo del beau monde, che affollava la città attratto dalle acque salubri, dalla morbida sabbia, dagli hotel di lusso, dalla raffinata vita notturna e naturalmente dal Casinò sito nel famoso Kursaal. Nel 1921 il viaggio da Londra alla costa belga durava solo cinque ore, grazie a due collegamenti diretti giornalieri da Dover, e la città attirava nuovamente sciami di visitatori britannici, oltre ai turisti continentali.
Il film inizia mostrandoci il monumentale ingresso del Royal Palace Hotel con le sue 500 stanze (non fatevi sfuggire l’esuberante ragazzino che, in basso a destra, danza la giga a beneficio della macchina da presa), e subito dopo passa alle immagini dell’eclettico Kursaal, goffo guazzabuglio architettonico di elementi di fantasia ma autentico palazzo dei piaceri, che tentava i visitatori con attrazioni di ogni tipo. Julien Vandenbrouck, direttore artistico all’epoca in cui fu realizzato questo film, sceglieva per il teatro da 6000 posti solo gli interpreti di qualità più elevata: i Ballets Russes di Sergei Diaghilev furono ospiti stabili nella stagione estiva del 1922, e Benno Moiseiwitsch fu solo uno dei molti pianisti che si esibirono accompagnati dall’orchestra di 100 elementi. Benché i tavoli della roulette venissero periodicamente chiusi (e in ogni caso, a parere di molti, i croupier facevano girare la ruota del gioco troppo lentamente, per cui l’unico luogo veramente adatto per la roulette rimaneva Monte Carlo), il gioco d’azzardo rimaneva una delle principali occupazioni serali, mentre le passeggiate sul lungo mare si protraevano fino alle ore piccole.
Ostenda era nota sia per le cabine da bagno che per i costumi monopezzo – nel film li ammiriamo entrambi. Non tutti erano entusiasti del primo ritrovato: Karl K. Kitchen, pseudonimo con cui fu firmato un articolo apparso sul Philadelphia Inquirer (2 ottobre 1921), giudicava sgradevole farsi trascinare in acqua in una cabina trainata da un cavallo e poi essere obbligati a fare il bagno accanto all’animale (nel film non si vedono cavalli), ma la frescura del mare era deliziosa, ed è bello vedere famiglie e gruppi di amici che si godono il sole e la sabbia. Un’altra destinazione irrinunciabile era l’ippodromo Wellington, prediletto da re Leopoldo II, che fece costruire le Gallerie reali per collegare la sua villa alla pista. All’incirca nell’epoca in cui fu girato il film, prima che la città subisse gravi danni durante la seconda guerra mondiale, Edith Sitwell scrisse la bizzarra poesia intitolata “Scotch Rhapsody” (Raspodia scozzese): “A Ostenda c’è un albergo / infinito e freddo come il vento / infestato dagli spettrali parenti poveri / delle conversazioni di Boston / … è il posto per me!”
BRUGES / BRUGGE
Possiamo immaginare l’irritazione che deve destare oggi nei cittadini di Bruges/Brugge la parola “pittoresco”, invariabilmente pronunciata dai turisti che si aggirano incantati in questa citta perfetta come un quadro. Già nel 1840, William Makepeace Thackeray scrisse “è la più pittoresca e graziosa, fra tutte le pittoresche e graziose città che ho visto”, e ancor oggi pochi oserebbero contraddirlo. La qualifica di sito del patrimonio mondiale UNESCO ne tutela il peculiare carattere urbano, e ben poco sembra veramente cambiato da quando la visitarono gli operatori dello S.C.A.B.; ma cosa sono 99 anni nella vita di una città che era una potenza economica già nel dodicesimo secolo? Il film trova i momenti di fascino più intenso nelle suggestive scene dei canali, in cui anche noi abbiamo la sensazione di scivolare sull’acqua trasportati in un pomeriggio pigro e tranquillo, tanto da immaginare la particolare trasformazione che i suoni subiscono nell’acqua. Ecco un classico travelogue che sfrutta il movimento della cinepresa, insieme a quello della barca, per incantarci come solo il cinema può fare, e dare vita a quella che Jennifer Lynn Peterson nel libro Education in the School of Dreams: Travelogues and Early Nonfiction Film definisce “fantasticheria poetica”.
Possiamo ammirare molti dei luoghi più famosi della città: il film indugia in particolare sull’altissimo campanile gotico; sul lago artificiale del Minnewater/Lac d’amour con il Kasteel/Château de la Faille; e sul Begijnhof/Béguinage, fondato nel 1245 come dimora per pie donne laiche. Scorgiamo anche la torre campanaria della Onze-Lieve-Vrouwekerk/Chiesa di Nostra Signora, sotto la quale è conservata, nella sua insostenibile, commovente bellezza, la Madonna di Bruges di Michelangelo. Ancor più che nelle immagini di luoghi specifici, il fascino del film sta nella capacità di trasportarci in una delle barche a motore che attraversano i canali di Bruges, per passare sotto i ponti, sfiorare i rami che pendono bassi sull’acqua, interrompere i percorsi dei cigni e ammirare i riflessi della luce sul lieve incresparsi della superficie.
Jay Weissberg
SVATOJÁNSKÉ PROUDY [Le rapide di San Giovanni / St. John’s Rapids] (CS 1912)
regia/dir: Antonín Pech. prod: Kinofa, Praha. uscita/rel: 11.1912. copia/copy: streaming digital file, 3′, col. (da/from 35mm, imbibito e virato/tinted & toned); did./titles: CZE. fonte/source: Národni filmový archiv, Praha.
“Fotografia impeccabile”, proclamava un annuncio pubblicitario sulla rivista specializzata austriaca Kinematographische Rundschau (Panorama cinematografico) del 29 novembre 1912, e in effetti i movimenti di macchina di Svatojánské proudy (il titolo tedesco è St. Johannes Ströme) si segnalano per la loro fluida bellezza, tanto che il film ottenne la medaglia d’oro alla prima Internationale Kino-Ausstellung (Esposizione cinematografica internazionale), tenutasi a Vienna nell’ottobre 1912. L’evento – insieme congresso ed esposizione dei più recenti progressi della tecnologia cinematografica – si svolgeva sotto lo speciale patrocinio dell’arciduca asburgico Leopoldo Salvatore, che come i suoi figli nutriva un vivo interesse per il cinema. Accanto a Svatojánské proudy il 22 ottobre fu proiettata una serie di produzioni tedesche, austro-ungariche e francesi, tra cui altri travelogue sul Monte Bianco (Alexander Ortony), l’Arcipelago malese (Pathé Frères) e Bruges (Gaumont); è interessante notare che il programma del giorno seguente comprendeva un cortometraggio sulla produzione cinematografica, prodotto da Karl Oberländer, di cui credo si siano perse le tracce: Herstellung eines Kinofilms (La produzione di un film).
Il cofanetto di DVD del Filmarchiv Austria “K.u.K. Kinobox” contiene un breve film d’attualità della Pathé Frères, Zur Kinoausstellung, in cui appaiono alcuni esercenti che parteciparono a questa esposizione del 1912: mi chiedo se Antonín Pech, direttore di Kinofa, la prima casa cinematografica ceca, e regista di Svatojánské proudy, possa essere riconoscibile tra la folla. Pech (1874-1928) lavorò come esercente e fotografo prima di iniziare a collaborare con il pioniere della cinematografia Jan Kříženecký; nel 1911 fu uno dei fondatori di Kinofa, per cui produsse pellicole a soggetto e documentari.
Senza dubbio i membri della giuria di Vienna furono colpiti dal modo in cui il film coglie le drammatiche immagini di una barca che scende lungo la vorticosa corrente delle rapide di San Giovanni sul fiume Vltava (la Moldava, o Moldau in tedesco), nel momento del passaggio dal tardo pomeriggio al chiar di luna. D’estate il luogo era una destinazione popolare tra i campeggiatori – all’inizio ne scorgiamo alcuni – e stimolò la creatività di Bedřich Smetana, il cui ciclo sinfonico Má vlast (La mia patria) comprende il rapido passaggio ritmico “Svatojánské proudy.” Ma anche prima di Smetana, queste rapide ispirarono l’omonima opera romantica di Josef Richard Rozkošný.
Purtroppo le rapide non esistono più, inghiottite dalla costruzione della diga che, poco dopo la seconda guerra mondiale, ha creato il lago artificiale di Štěchovice. Il film di Pech, riportato dal restauro allo splendore delle imbibizioni e del viraggio originali, ci consente di provare ancora l’esperienza dei grandiosi dirupi che strapiombano nel fiume come se ci trovassimo noi stessi in acqua, trainati all’inizio dai barcaioli o, ancor meglio, con i compagni di canoa, mentre immergiamo i remi nelle acque del fiume che si precipita vorticoso verso Praga.
Jay Weissberg
(TRIESTE, ESTATE 1939) (IT 1939)
regia/dir: ??. photog: ??. prod: ??. copia/copy: streaming digital file, 7′ (da/from 35mm); senza did./no intertitles. fonte/source: La Cineteca del Friuli, Gemona.
Percorrendo la strada costiera in direzione sud verso Trieste, scorgiamo la torre del castello di Miramare, adagiato sul suo promontorio. Costruito per Massimiliano e Carlotta, la sventurata coppia asburgica, divenne poi una delle residenze di Amedeo duca d’Aosta e della sua consorte Anna d’Orléans, che forse si trovavano proprio al castello quando furono girate queste immagini. Uno stacco ci trasporta, lungo la costa, fino alla pittoresca baia di Sistiana, su cui troneggia l’Hotel Belvedere. Denominato originariamente Parkhotel, era stato costruito dal principe Alessandro della Torre e Tasso nel 1906, quando la Venezia Giulia e il Friuli orientale facevano ancora parte dell’impero austro-ungarico, e univa le caratteristiche più moderne di un raffinato stabilimento termale a una sobria eleganza. Le stanze degli ospiti erano arredate all’inglese e, almeno all’epoca della gestione originaria, si poteva pranzare sulla terrazza gustando specialità viennesi all’ombra dei glicini e dei rampicanti (maggiori dettagli sono reperibili in “Sistiana bei Triest,” Der Fremdenverkehr [Turismo], 20 ottobre 1912).
La macchina da presa ci conduce poi nuovamente verso sud, attraverso il tunnel aperto nella parete rocciosa con l’esplosivo nel 1928 (secondo la tradizione, prima di riemergere alla luce del sole dovremmo dare tre colpi di clacson). Appare ora lo slanciato profilo dello stabilimento balneare di Grignano con il suo porticciolo e in seguito, adeguatamente affollato di bagnanti estivi, l’Excelsior, gremito di chiassosi adolescenti che sguazzano accanto al castelletto neogotico di Alessandro Cesare. Ci spostiamo infine a Trieste, dove ammiriamo le immagini dei bagni alla Lanterna e Ausonia-Savoia; le imponenti strutture moderniste di questi stabilimenti, simili a un villaggio su palafitte, erano state inaugurate solo pochi anni prima della realizzazione del film. Qui osserviamo un’allegra mescolanza di bagnanti di tutte le età, alcuni dei quali si esibiscono in impressionanti tuffi acrobatici. Poi però, come il graffio della puntina di un giradischi su un disco di vinile, ci turba notare due ritratti di Benito Mussolini, accanto a un emblema sportivo nazista in cui svastica e spada sono racchiuse in una ghirlanda di foglie di quercia. Sì, questa è l’Italia del 1939.
(Trieste, estate 1939) avrebbe naturalmente dovuto avere una colonna sonora con una voce narrante, ma la copia della Cineteca del Friuli è muta. L’archivio possiede un altro film analogo, girato anch’esso nell’estate del 1939 a Grado; molto probabilmente, entrambi facevano parte di una serie di pellicole destinate a promuovere la regione come destinazione estiva. Lo mettiamo in programma come una nota discordante, un monito sui pericoli della nostalgia non accompagnata dalla memoria storica. Nel settembre del 1938, Trieste era stata lo scenario di una delle più trionfali visite di Mussolini, descritta dagli storici come il momento in cui la messinscena del fascismo raggiunse il suo apogeo (sul sito dell’Istituto Luce sono reperibili i cinegiornali con i discorsi e le immagini delle adulanti masse di triestini). Accingendosi a promulgare le leggi razziali antisemite, che entrarono pienamente in vigore nel novembre successivo, Mussolini sfruttò l’occasione per raccontare alla prospera popolazione ebraica della città che i decreti erano diretti contro gli ebrei stranieri, e non contro i locali, ma una propaganda venefica si era già insinuata nella stampa popolare, e nonostante i tentativi revisionistici di minimizzare le leggi rispetto a quelle tedesche gli effetti furono terribili. Ecco il contesto del film, che ci costringe a prendere atto dell’insidioso spazio mentale che separa la tranquilla gioia di un viaggio in poltrona dal disagio storico.
Jay Weissberg
TAVLOR FRÅN LONDON (Londonerbilleder) [Quadri londinesi / Paintings from London] (SE 1922)
regia/dir: Julius Jaenzon. prod: AB Svensk Filmindustri. dist: AB Svenska Biografteatern. uscita/rel: 20.03.1922. v.c./censor date: 17.03.1922 (no. 28985). copia/copy: streaming digital file, 7’35”, col. (da/from 35mm, imbibito e virato/tinted & toned); did./titles: NOR. fonte/source: Nasjonalbiblioteket, Oslo/Mo i Rana (Hans Berge Collection).
13 scenette incorniciate – 14 se contiamo due inquadrature delle piovose strade di Londra montate insieme – formano Tavlor från London, un’incantevole galleria di immagini londinesi realizzata nel 1922. In quell’anno l’impero britannico toccava il suo apogeo territoriale e si estendeva su un quarto del globo terrestre, facendo così di Londra veramente la capitale del mondo. È una sorpresa apprendere che il film è stato realizzato dal grande cineasta svedese Julius Jaenzon, che poco prima aveva diretto la fotografia del capolavoro di Victor Sjöström Vem Dömer? (La prova del fuoco, proiettato alle Giornate nel 2017). Le statiche composizioni del film sono troppo semplici per suggerire l’opera di un genio, ma ai nostri fini costituiscono letteralmente una finestra sulle strade della città, ciascuna accuratamente inserita nella propria cornice, in un modo che richiama alla mente le tele degli impressionisti.
Tralasciamo la prima didascalia, sbagliata, e i suoi errori di ortografia: la scena si apre su Trafalgar Square, non su Charing “Gross,” brulicante di traffico e di pedoni che passano davanti ai leoni posati ai piedi della colonna di Nelson. Sullo sfondo, al centro dell’immagine, scorgiamo la torre e il caratteristico globo del London Coliseum, dove in questo periodo, alla fine di gennaio, avremmo potuto ammirare Cyril Maude e le esibizioni degli elefanti di Lockhart, oppure, a metà febbraio, Isobel Elsom e Cicely Courtneidge. O forse avremmo preferito assistere a The Bat, il successo di Claude Rains di cui vediamo un annuncio pubblicitario sulla fiancata di un autobus a due piani che passa davanti al Wellington Arch?
L’autore delle didascalie amava evidentemente la battuta per cui Londra è perennemente avvolta nella nebbia (“taake” in norvegese), giacché questa parola continua a ricomparire anche quando la scena non pare particolarmente nebbiosa. Il clima avrà senza dubbio aggravato la mortale epidemia di influenza che era scoppiata alla fine del 1921 – nella sola capitale, verso la fine del gennaio 1922 si registrarono oltre 550 decessi – ma per fortuna poco dopo il virus svanì. Con qualunque tempo questa è una città in perpetuo movimento, in cui automobili, carri, autocarri e persino le guardie a cavallo riempiono le strade di energia. Come disse Samuel Johnson, “chi è stanco di Londra, è stanco della vita”. Se però desiderate fuggire, basterà acquistare un biglietto della Instone Air Line, la cui pubblicità è visibile sulla fiancata di un furgone nella vignetta “Giorno di pioggia”, e in due ore e un quarto appena sarete a Parigi.
Ringraziamo Magnus Rosborn che ha identificato il film.
Jay Weissberg

UN VOYAGE ABRACADABRANT (FR 1919)
regia/dir, sogg/story, anim: Henri Monier.
prod: Pathé-Frères.
uscita/rel: 1919.
copia/copy: streaming digital file, 1’40” (da/from Pathé-Baby 9.5mm); did./titles: FRA.
fonte/source: Cinémathèque française, Paris.
[NEW-YORK] (SE 1911)
prod: Svenska Biografteatern.
copia/copy: streaming digital file, 8’50” (da/from 35mm nitr. pos.); senza did./no intertitles.
fonte/source: The Museum of Modern Art, New York.
PLANTY KRAKOWSKIE (PL 1929)
[Il parco Planty di Cracovia / Planty Park in Kraków]
regia/dir: Szczęsny Mysłowicz.
prod: Instytut Filmowy “Lumen”.
uscita/rel: 1929.
copia/copy: streaming digital file, col., 10′, incomp. (finale mancante/ending missing) (da/from 35mm, imbibito e virato/tinted & toned); did./titles: POL.
fonte/source: Filmoteka Narodowa – Instytut Audiowizualny (FINA), Warszawa.
UN VOYAGE AU CAIRE (FR 1928)
(Nos vedettes à l’étranger)
prod: Pathé-Revue.
uscita/rel: 1928.
copia/copy: streaming digital file, col., 3’25” (da/from 35mm, pochoir/stencil-colour); did./titles: FRA.
fonte/source: Gaumont Pathé Archives, Saint-Ouen, Paris.
TIEDEMANNS NATURFILM: OVER BESSEGGEN PÅ MOTORCYKKEL (NO 1932)
[I film Tiedemann sulla natura: Sulla cresta di Besseggen in moto / Tiedemann’s Nature Film: Over Besseggen by Motorcycle]
prod: Wilse Film Co., per/for Tiedemanns Tobaksfabrik.
v.c./censor date: 29.07.1932.
copia/copy: streaming digital file, 3’40” (da/from 35mm); did./titles: NOR.
fonte/source: Nasjonalbiblioteket, Oslo/Mo i Rana.
LA BELGIQUE PITTORESQUE / SCHILDERACHTIG BELGIE (series) (BE 1922-23?)
prod: Service Cinématographique de l’Armée belge (S.C.A.B.).
copia/copy: streaming digital file, 13′, col.; did./titles: FRA, NLD.
fonte/source: Cinémathèque Royale de Belgique / Koninklijk Belgisch Filmarchief, Brussels.
SVATOJÁNSKÉ PROUDY (CS 1912)
[Le rapide di San Giovanni / St. John’s Rapids]
regia/dir: Antonín Pech.
prod: Kinofa, Praha.
uscita/rel: 11.1912.
copia/copy: streaming digital file, 3′, col. (da/from 35mm, imbibito e virato/tinted & toned); did./titles: CZE.
fonte/source: Národni filmový archiv, Praha.
(TRIESTE, ESTATE 1939) (IT 1939)
regia/dir: ??.
photog: ??.
prod: ??.
copia/copy: streaming digital file, 7′ (da/from 35mm); senza did./no intertitles.
fonte/source: La Cineteca del Friuli, Gemona.
TAVLOR FRÅN LONDON (SE 1922)
(Londonerbilleder) [Quadri londinesi / Paintings from London]
regia/dir: Julius Jaenzon.
prod: AB Svensk Filmindustri.
dist: AB Svenska Biografteatern.
uscita/rel: 20.03.1922.
v.c./censor date: 17.03.1922 (no. 28985).
copia/copy: streaming digital file, 7’35”, col. (da/from 35mm, imbibito e virato/tinted & toned); did./titles: NOR.
fonte/source: Nasjonalbiblioteket, Oslo/Mo i Rana (Hans Berge Collection).